Premessa:
Innanzitutto voglio ringraziarvi per il tempo che impiegherete per leggere ciò che ho scritto. In secondo luogo avrei alcune cose da precisare: le persone descritte nella storia sono reali, ma i fatti narrati sono puramente casuali, frutto della mia immaginazione.
Detto ciò, spero che vi piaccia e che siate soddisfatte.
Baci, F x
(twitter: @clariostan)-------------------------------------------------------
"Sto a morì de freddo"
Fu la prima cosa che Mario pensò non appena sceso dal treno, mentre si stringeva nel suo parka blu. Tirò su col naso e si incappucciò tentando di non rovinare il suo ciuffo maledetto che non stava mai fermo.
Camminava lento sulla banchina, tentando di sgranchire le gambe magre che erano state ferme per troppo tempo e nel frattempo tentava di ricordare l'indirizzo che Dafne, la sua amica, aveva accuratamente ripetuto dodici volte.
Nel frattempo cavò il pacchetto di Marlboro dalla tasca e ne estrasse una sigaretta che poco dopo accese. La mano con la quale la manteneva stava per ibernare, il fumo bianco e denso usciva dalle sue labbra scure, anche quelle raffreddate.Mario aveva iniziato a fumare all'età di 17 anni; rubava le sigarette dal pacchetto del nonno e le fumava di nascosto, quando
nessuno era in casa. Ricordava perfettamente la marca: Merit 100's, quelle che non avrebbe mai più fumato.Mentre con una mano bloccava la sigaretta tra l'indice ed il medio, con l'altra trasportava il trolley dorato e a dir poco appariscente. Uno squillo di cellulare lo discostò dai suoi pensieri e lo fece sobbalzare.
Marco, il suo coinquilino, gli aveva scritto un messaggio."Mariù, dove sei? Ti sto aspettando a Piazza Bra."
"Oh aspettami, sto per uscire dalla stazione. Dieci minuti e sono da te."
Inviò il messaggio e ripose immediatamente il telefono in tasca, spense la sigaretta e calò il cappuccio del giubbotto fin sopra il naso.
Era Natale, ed uscendo dalla stazione poté ammirare le bellissime luminarie che decoravano Verona. Si trovava lì un po' per caso, grazie ad Alessandro e Marco che l'avevano gentilmente invitato con loro ad una cena di lavoro. Grazie alla loro iniziativa "The art of Dp" se lo portavano dietro in ogni dove.
Dopo due minuti di attesa alla fermata entrò nel pullman fin troppo pieno, temeva addirittura che il suo lingotto d'oro (così chiamava il trolley) non c'entrasse. Si guardò attorno cercando un appoggio, ma
non lo trovò, così decise di tenersi in equilibrio con la valigia tra le gambe.
Dieci minuti dopo arrivò a Piazza Bra e, con non poca difficoltà, scese dal pullman quasi rischiando di cadere.
Tirò su col naso quando una folata di vento gelido lo assalì in pieno volto e riportò sul naso il cappuccio.
Si girò in tondo per pochi secondi, quando vide la testolina di Marco scrutare tra la gente.
"Aò, Marco!" fece Mario, agitando la mano in aria.
Di rimando l'amico si portò una mano davanti la bocca facendogli segno di abbassare la voce.
"Ti ho visto, ti ho visto, abbassa la voce"
Mario si crucciò e "grazie per l'accoglienza" disse infastidito.
Marco rise, gli scompigliò i capelli e lo avvertì che stavano per recarsi nell'albergo poco lontano da lì, dove avrebbero trovato Alessandro ad aspettarli."Com'è andato il viaggio?" chiese apprensivo l'amico.
"Bene, non me sto a lamentà però qua sopra fa n'freddo cane."Roma, la sua capitale, era sicuramente più calda di Verona, oppure era lui che la guardava e la viveva innamorato, con gli occhi di chi non lascerebbe la sua regione natia per niente al mondo.
Mario aveva parlato a Roma di notte quando era triste, quando era felice, arrabbiato, pensieroso. La sua città lo aveva ascoltato, lo aveva deluso, lo aveva accolto e coccolato. Non si era mai spostato dall'asse Anzio-Roma e non aveva mai pensato di lasciare il suo posto di lavoro che considerava sacrosanto.
Ma ora pensò che non fosse il caso di pensare alla sua città e di godersi questo soggiorno lontano dal lavoro e dallo stress.Arrivarono all'albergo in men che non si dica, si occupò subito del check-in e si fiondò immediatamente nella stanza riservata a lui.
"Ti do il tempo di aggiustare le tue cose e di sistemarti. Ci vediamo tra un'oretta nella hall."
Marco si congedò così e scomparve tra le porte automatiche dell'ascensore mentre Mario passava la scheda sul micro cip della porta.
Lo scatto meccanico dell'apertura lo fece sobbalzare, l'aria calda della stanza lo coccolò immediatamente e si gettò a peso morto sul letto.
Mise il telefono in carica ed iniziò ad avvertire parenti ed amici del suo arrivo a Verona, zampettò tra un social ed un altro e poi decise di andarsi a preparare.Poco dopo era davanti lo specchio a sistemare il ciuffo ribelle, abbottonò l'ultimo bottone della camicia nera e chiuse la zip del jeans, nero pure quello. Dalla valigia estrasse delicatamente la boccetta di Invictus e ne spruzzò due spruzzi sul collo scoperto.
"Se po fa', andiamo" disse tra sé e sé guardandosi allo specchio. Prese tutto il necessario ed uscì dalla stanza.La hall era grandissima, una fontana brillava al centro di essa ed i gemelli di Puppo erano seduti sulle poltrone che la costeggiavano, aspettando Mario.
"Finalmente" sospirò Alessandro prima di dargli due baci sulle guance "andiamo che è tardi."
"Oh non date la colpa a me che sono pure in anticipo" cinguettò Mario.
Così entrarono in una macchina che li avrebbe portati direttamente al ristorante dove si sarebbe tenuta la cena di lavoro.
Mario si agitava sul sediolino freddo dell'auto, il suo respiro caldo era l'unica cosa che gli riscaldava le mani e tremava dalla testa ai piedi.
"Ma questo non c'ha n'pochetto d'aria calda?" disse sotto voce, ma Marco ed Alessandro discutevano di qualcosa che lui non poteva comprendere. Guardava pensieroso fuori dal finestrino, osservava i vicoli, le luci e le persone di quella città così estranea a lui.L'auto si fermò, Mario si imbambolò davanti l'ingresso di quel locale, così estremamente raffinato.
"Avanti, vieni" lo esortò Alessandro accompagnandolo con una mano dietro la schiena.
I gemelli, appena arrivati, furono accolti da quello che doveva essere qualcuno di davvero importante, o almeno era quello che aveva pensato Mario guardandolo nel suo vestito fin troppo attillato.
Un bodyguard abbastanza alto lo fermò e "Buonasera. Mi dia il suo nominativo e le dirò il tavolo al quale è assegnato" gli disse categorico.
Di rimando il romano sorrise imbarazzato e
"Mario Serpa" concluse.
Quello scorse il dito su una lista lunga tre fogli e dopo pochi minuti "Tavolo Fiordaliso" gli disse indicandoglielo col dito.
Mario ringraziò e fece per apprestarsi al tavolo di assegnazione; due minuti dopo si ritrovò Marco dietro.
"Scusa Mariù, ma qua la gente ci ferma e ci saluta" tossì "sono tutti del settore ed io e Ale dobbiamo fare una bella impressione. Siamo i più giovani e..."Mentre Marco si perdeva nelle sue stesse parole, Mario aveva trovato il loro tavolo.
Non erano soli, insieme a loro vi erano altre tre persone, due ragazzi ed una ragazza.
"Buonasera" disse timido Mario poco prima di sedersi. Quelli interruppero la loro discussione e gli sorrisero gentilmente.
"Io vado a chiamare Ale" rifiatò Marco per poi scomparire tra la folla.
Il trentenne romano si guardò intorno, era davvero un bel locale, di quelli eleganti e raffinati che poche volte aveva visto nella sua vita. Si aggiustò delicatamente la camicia ed iniziò a giocare con le posate senza mai alzare lo sguardo sui restanti tre commensali del suo tavolo.
La ragazza si alzò e si congedò ai due con un "Ci vediamo dopo belli" con allegato un bacio volante.
Mario osservò la sua figura snella e alta andar via con eleganza e "Comunque piacere, Claudio" si sentì dire da uno dei due ragazzi.
La prima cosa che Mario notò furono i suoi occhi verdi e il suo ciuffo esageratamente lungo.
Guardò sorpreso la mano anellata tesa verso di lui, la camicia si spostò dal polso e ne uscirono fuori alcuni tatuaggi coloratissimi.
Fu assalito da una strana sensazione di antipatia imminente, incredibilmente violenta che nemmeno si spiegava. Quel Claudio proprio non gli era piaciuto a primo impatto.
Forse erano le stelline tatuate sotto l'orecchio sinistro oppure il piercing al sopracciglio, proprio non se lo spiegava, ma era stato così.
Differente fu la sensazione ricevuta dall'altro ragazzo che capì si chiamasse Paolo. Di bella presenza, elegante, pulito, con un tono di voce non proprio basso, ma gentile.
"Piacere, io sono Mario" sorrise ed allungò la mano ad entrambi.
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Fire meet gasoline.
FanfictionI can barely breathe when you came loving me, fire meet gasoline I'm burning alive. [...] We're a perfect match perfect somehow. We were made for one another come a little closer.