Tutti gli stati che questo mondo può raggiungere, li ha già raggiunti, e non una volta sola, ma un infinito numero di volte.
Era una bella giornata d'autunno. Oltre il muro del giardino e di là dagli alberi, si sentiva il rumore delle grandi macchine trebbiatrici che lavoravano nei campi alla raccolta del riso. Si sentivano e non si vedevano, perché passavano altissimi sopra le nostre teste, gli aeroplani in partenza o in arrivo dall'aeroporto di Milano Malpensa; e c'erano anche, in sottofondo, le voci della natura. (Lo stormire delle fronde, il cinguettio degli uccelli non sono ancora scomparsi del tutto da questa parte del mondo che è la pianura del Po, ma non sempre è possibile ascoltarli, in una realtà ormai interamente dominata dai rumori meccanici).
"Il tempo, - disse Timodemo, - è pieno delle nostre storie e non sa cosa farsene. E anche noi, che siamo i personaggi di quelle storie, finiamo poi sempre per soffermarci su un dettaglio, e perdiamo di vista l'insieme..."
Si sedette su una panchina in fondo al viale, e alzò la toga per non calpestarla. Soltanto allora feci caso a come era vestito, e anche a un cerchio d'oro che portava al polso della mano sinistra e che rappresentava l'urobòros, il serpente che inghiotte sé stesso. Una delle immagini più antiche, e più universalmente note, del tempo.
L'uomo che mi stava davanti dimostrava una cinquantina d'anni. Aveva la barba grigia, era un po' calvo e parlava un latino per me abbastanza comprensibile, grazie ai ricordi di liceo e d'università. Mi indicò un gruppo di miei personaggi, uomini e donne, che passeggiavano tra gli alberi e parlavano tra di loro in modo piuttosto animato. "Osservali con attenzione, - mi disse. - A vederli da qui, sembra che si debbano scambiare chissà quali notizie. Ma se ti avvicini e li ascolti, ti accorgi che ognuno di loro sta solo recitando una parte: la sua parte, e continua a ripeterla..."
Ricordo di aver provato un moto di fastidio, per quello sconosciuto che si permetteva di criticare i miei personaggi. Chi credeva di essere? Non era anche lui un personaggio come gli altri, venuto nel mio giardino per lo stesso motivo per cui ci venivano tutti?
"Se devi raccontare una storia, - gli dissi, - raccontala. Io ti ascolto. Ma, per favore, risparmiami questo genere di considerazioni..."
Lo guardai e vidi che sorrideva. Chissà cosa aveva voluto farmi intendere, con quello strano preambolo! "Ci sono storie, - mi rispose dopo un breve silenzio, - che rimangono sospese fuori dal tempo perché i loro personaggi ne conoscono solo una piccola parte, e perché nessuno riesce a vederle per intero. Sembra incredibile ma è così. Anche il mio amico Virgilio, nei suoi ultimi giorni e mesi di vita, si era reso conto di essere passato vicino a una di quelle storie, e di non avere saputo riconoscerla..."
L'uomo seduto sulla panchina continuò a parlare finché il sole, che allora era ancora alto sopra le nostre teste, scivolò pian piano dietro alle montagne chd chiudono a occidente questa pianura, e finché il freddo e l'umidità della notte incominciarono a insinuarsi dentro le mie ossa di vivo. Ed ecco la trascrizione, fedele per quanto mi è stato possibile, di quel suo lungo monologo.
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Un Infinito Numero
Historical FictionATTENZIONE: CONTENUTI INADATTI A UN PUBBLICO SENSIBILE. [NdE: Essendomi accorto che wattpad careva di questo fantastico libro di Sebastiano Vassalli, ho deciso di aggiungerlo.] Mecenate, Virgilio e il suo segretario Timodemo, in viaggio nelle terre...