Capitano delle volte. A volte capita di sentirsi così, senza motivo. Guardi fuori ed un momento dopo non sei più lì. Un po' come se la testa avesse deciso che quel momento fosse propizio. Qualcuno accosterebbe questo momento all'aneddoto quadro che un giorno, senza spiegazione alcuna, decide di cadere.
Ecco questo è un di quei momenti. Improvviso e semplicemente accaduto. Non c'è un motivo e non sapremo mai se il chiodo ed il quadro si siano messi d'accordo su quell'attimo. Solo, certe cose accadono e basta.
È uno di quei momenti dove mi capita di cadere nel vuoto. All'improvviso mi circondo di silenzio, le mie orecchie decidono di rifiutare il rumore, gli occhi di non catturare più i colori. E poi un grido. Acuto, disperato. Impotente.
Il mio, di urlo.
Rivedo quell'immagine, ancora e ancora. Quella sequenza infinita di scene mi tormenta. Uno scambio di battute, uno sguardo freddo, un colpo, un rumore secco e poi morte.
La conosco bene Morte. Giocava con me quando ero piccolo, mi sussurrava all'orecchio mentre dormivo, mi accompagnava ovunque. Una fedele ombra che riempiva quella tracciata dal mio corpo. Morte era con me, io con lei, ed in mezzo a noi non doveva esserci nessuno, non una singola persona poteva anche solo osare spodestare il suo trono. Lei è gelosa, vendicativa, soprattutto egoista.
L'ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire farla arrabbiare. Non c'è voluto molto prima che si sbarazzasse del mio mentore, amico, confidente. Era il mio tutto. Arrivato dal nulla come una folata di vento, e portato via nello stesso modo. Io ero presente, virtualmente là, assistevo alle sue prodezze pensando veramente che fosse un uomo senza tempo. Il mio uomo senza tempo.
I rimbombi sono assordanti e fastidiosi. Ti entrano nella testa lasciandoti stordito, non capisci finché non è troppo tardi. Un attimo in cui sei sospeso fra consapevolezza e inconscio, dove sai che stai per tornare ma ancora non l'hai fatto perché vuoi goderti quel consapevole vuoto che ti circonda, leggero ed opprimente. Vedi i volti delle persone guardarti perplesso, indecisi se giudicarti sano o malato, in sospeso di una tua qualunque reazione che gli faccia capire che loro, in quel momento, potrebbero essere vitali per riportarti fra i vivi e i sani.
Una sola parola sospesa è l'unico filo di ragnatela che mi lega a te, al tuo ricordo indelebile. Sono intrappolato in una ragnatela di ricordi che non voglio disfare, placidamente incollato senza volermi staccare. Ho creato la mia trappola mortale: io sono il ragno ed io la preda.
Mi chiedono se vada tutto bene. Ovvio che va bene! Come potrebbe andare male. Chiuso nel mio piccolo e caldo anfratto buio, circondato da ricordi che, lentamente, costituiscono la mia crisalide e mi intrappolano dolcemente e teneramente per farmi sentire meno solo, meno al gelo, meno allo scoperto da quel profondo nulla che mi attende. Non voglio andarci, voglio rimanere qui. Sarò testardo se devo ma non farò un passo, non posso. Non senza di lui.
Lui mi ha insegnato a camminare e non mi muoverò finché non sarà lui a dirmi di farlo. L'ultima volta mi ha lasciato dicendo che sarebbe tornato per sistemare la mia faccenda, quindi lo attenderò qui e come sempre lui, in modo inaspettato risolverà tutto. Mi darà un appuntamento, oppure si presenterà alla porta e con lo sguardo compiaciuto di chi ha fatto un ottimo lavoro ed un'ottima scelta, mi guarderà e dirà:
"Eggsy. Un gentleman sa sempre rimediare ad un errore, sia esso suo o di altrui persona. I modi, ragazzo mio, ricorda. I modi, fanno l'uomo"
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FanfictionBloccato qui, in apnea, indeciso se riemergere fra quel mondo ormai piatto ed incompreso ai miei occhi o lasciarmi trasportare dal quel profondo oblio, che inebria i sensi e lascia tracce sbiadite di te e me. Raccolta di vari momenti di coppie che n...