Vampire

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Stavo barcollando per le strade, in quella giornata livida.
Ero appena caduta causando un profondo taglio sul mio braccio. Perdevo molto sangue.
Sulla terra non batteva nessun passo, accanto a me regnava il silenzio. Era una domenica, e mentre io mugolavo la mia pena, la gente stava al caldo, in casa, ignara di ciò che mi stava capitando.

Stavo barcollando per le strade, in quella giornata livida.
Il sangue colava verso il basso, attratto dalla gravità; diverse gocce coloravano il marmo grigio sotto i miei piedi. Mi girava la testa. Era come se qualcuno mi stesse guidando in avanti, non ero davvero io a controllare il mio corpo. Volevo solo trovare un dottore, o mia madre per ricevere un suo abbraccio.

Stavo barcollando per le strade, in quella giornata livida.
All'improvviso sentii un sussurro. Un mormorio, qualcosa di lieve, qualcosa come il vento. "Sangue", pronunciava.
Cercai di correre ma i miei passi erano troppo pesanti. La gravità che attirava a se le gocce del mio sangue sembrava farsi raddoppiata.
Il mormorio aumentava, erano quasi delle urla, vibrazioni troppo forti perché il mio udito fosse in grado di ascoltarle.
Cadetti in avanti, le mani sulle orecchie, per mascherare quel rumore. Urlavo. Mi faceva male il braccio, non mi sentivo nemmeno più io.

Stavo accasciata per le strade, in quella giornata livida.
Un ombra si materializzò davanti a me. Un brivido mi minacció di non alzare lo sguardo, ma l'attrazione che quel misterioso essere mi donava, era più forte di qualsiasi condanna a morte.
Due occhi rossi mi penetrarono l'anima. Il braccio smise di bruciare. Non lo sentivo più. Non solo non sentivo il mio braccio, non sentivo nemmeno me stessa.
Socchiusi gli occhi. Quell'essere, dalle sembianze umane, stava leccando la ferita.
Mi faceva male, tanto male, eppure non mi ero mai sentita più viva. Era un controsenso.
Vidi i denti che entravano nella mia carne. Provai ad urlare ma non avevo nemmeno più la voce.
Richiusi gli occhi, e l'unica cosa che mi teneva aggrappata alla realtà, era la sensazione del marmo duro sotto la mia testa.

Aprii gli occhi. Non posso di preciso dire quanto fosse passato. Però sentivo ancora il marmo sotto la mia nuca. Guardai il cielo, e non fui più in grado di sapere se regnava ancora una giornata livida. Non vedevo niente. Non è una cosa che puoi descrivere a parole, ma la devi vivere. Perché sapevo che lì c'era il cielo, potevo sentirne l'odore, il sapore. E lo vedevo, si, ma vedevo solo dei movimenti. Come una lotta tra due professionisti. Erano tante nubi unite tra loro, in un vortice di dolore e felicità. Non erano più i colori che conoscevo, era strano, era tutto più chiaro. Sentivo il rumore dello spazio. Mi picchiavo una mano sulla testa, stavo impazzendo.
Le mie tempie chiedevano pietà, martoriate da suoni che neanche il cervello era in grado di gestire. Mi alzai in piedi, la testa girava sempre di più. Iniziai a correre verso a casa. In 30 secondi fui davanti al portone. Mi girai e guardai la lunga strada dietro di me, che culla con se ogni mio ricordo. Dal punto in cui ero a casa mia ci sono circa 3 kilometri, e ne ero sicura. Non capivo cosa mi stava succedendo. I miei sensi sembravano essersi sviluppati, le mie capacità anche. Ero spaventata da me stessa, e piangevo, anche se non avevo lacrime. Mi toccai la guancia, nel vano tentativo di trovare anche una sola goccia di sofferenza, ma tutto ciò che sentii era una pelle ruvida, gelata. Tutto intorno a me era un unico punto di domanda.

Era solo una giornata, e anche se non sapevo distinguere di che colore fosse realmente il cielo, sapevo che era solo una giornata.
Dietro di me si materializzò un'ombra, e ci misi poco a ricordarne il volto. Ieri sera. Tutto questo. È tutta colpa sua.
"Chi sei?" La mia voce era roca, non sembrava neanche uscita dalla mia bocca.
"Phoby"
"Che nome insolito" pensai. I suoi occhi erano ancora rossi. Nella sua bocca sentivo l'odore del mio sangue, anche a molti centimetri di distanza.
"Lilly" mi presentai.
"Oh, so bene chi tu sia" disse prima di correre via, veloce, certo, ma non abbastanza da fuggire alla mia vista.

Anche oggi è solo una giornata, e dopo un anno da allora non so ancora distinguerne il colore. Accanto a me, Phoby, mi accarezza la schiena con un sorrisino cattivo. Lo amo da impazzire.
No, non è un amore convenzionale, non è neanche una storia d'amore. In realtà, non abbiamo mai definito questo "noi" con una parola. Da quando mi ha reso un vampiro c'è sempre stata una sorta di attrazione tra le nostre anime.
Noi uccidiamo le persone, è vero. È il circolo della vita. È un'immensa savana, in cui due forti animali si battono per il cibo. E io e Phoby siamo i re.
Non me ne pento, no, è tutto ciò che posso fare. Sarebbe una condanna a morte smettere, a parte il fatto che la morte non è scritta nel libro del mio destino.

Una cosa in particolare mi mancherà: la fine. Sono sempre stata la bambina che sognava un lieto fine, l'essere felice a vita, l'esserlo anche dopo la morte.
Una sola cosa è cambiata dalla mia infanzia: ora sono una ragazza.
E lo sarò per sempre.

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