Il Sarcofago della Solitudine
Seguirono le istruzioni della dea e, dopo 63 scalini, si trovarono davvero di fronte a un’altissima porta rossa decorata in oro. Il batacchio, anch’esso d’oro e a testa di leonessa, era pesante e ben lucidato.
- Sembra la testa di Mafdèt - disse Martina.
- Speriamo che ci protegga ancora – le rispose Gatto Mozòt iniziando a percuotere il battiporta con precisa e lenta cadenza.
Ogni colpo produceva, rimbombando, echi così profondi da lasciare sbalorditi, facendo immaginare spazi immensi dall’altra parte.
Dopo il settimo colpo, i cardini cominciarono a scricchiolare sonoramente, rivelando tutta la loro ruggine e la loro vecchiezza. Poco alla volta la porta si schiuse e, attraverso la fessura che andava via via allargandosi, videro una sala sconfinata, tanto grande da non riuscire a distinguerne le pareti. Dentro, perfettamente allineati in una sequenza senza fine, li impressionò uno sterminato numero di sarcofagi, disposti in file alternate: una fila in porfido rosso e l’altra in marmo verde.
Quando la porta si aprì completamente, tutta quella vastità diede a Martina un grande senso di smarrimento. Ma il fedele Gatto Mozòt se ne accorse subito, le si avvicinò e incominciò ad accendere il suo motorino di “ron…ron” per rassicurarla. Così, dopo qualche esitazione, entrarono in quello spazio sconfinato.
-Perché ci sono sarcofagi di due colori? – chiese Martina mentre anche la sua voce si perdeva nell’eco.
-Quelli rossi -rispose Mozòt - contengono persone che si sono chiuse nella solitudine per scelta o per chissà quale grave forma di depressione. Quelli verdi, più difficili da aprire, racchiudono persone colpite da malattie molto serie o che sono già in coma, per esempio.
-E voi gatti a chi prestate soccorso?
-Per missione, noi gatti, aiutiamo tutti, e stiamo particolarmente vicini ai bambini autistici, perché, come tu sai, risvegliarli verso gli altri è molto difficile. Ma noi gatti ce la mettiamo tutta, ci puoi scommettere.
Girarono a caso in ogni direzione, cercando qualche indizio che facesse capire loro in quale sarcofago trovare Leonardo. Ma di tracce utili nemmeno l’ombra. Quando oramai la stanchezza e la delusione per quel loro girovagare infruttuoso stavano per farli desistere dall’impresa, ecco che Mozòt notò che la freccia di Diana produceva una specie di debole ticchettio. Allora iniziò a orientarla nelle diverse direzioni, notando che, a ogni spostamento, il ticchettio variava di intensità e di frequenza. Evidentemente la freccia era una magica antenna direzionale!
- Grazie, oh nobile Dea di Efeso - esclamò esultante - Grazie! Grazie! - e poi rivolto a Martina:
- E’ la seconda volta che ci aiuta. Ha previsto proprio tutto e ci è venuta in soccorso perché ha capito che non ho esperienza né di Cat Therapy né di questi maledetti sarcofagi. Sapevo della loro esistenza, ma qui non c’ero mai venuto perché questo non è il mio mestiere!
- Ma dai che te la cavi benissimo, Mozòt caro… - lo incoraggiò Martina.
Continuarono a usare la freccia come antenna ricevente e, seguendone il ticchettio sempre più intenso e frequente, giunsero di fronte ad un sarcofago di porfido rosso, apparentemente uguale agli altri.
- Deve essere questo - disse Mozòt fermandosi.
Martina abbracciò la fredda pietra del coperchio e rimase immobile su di esso per molto tempo mentre il gatto si sedette a lato pensando a cosa fare.
- Sì, forse siamo finalmente vicini a Leonardo, - disse Martina - però lui rimane chiuso qua dentro. Non ci vede e non ci sente. Non posso parlargli. Vorrei dirgli che gli vogliamo bene e che lo vogliamo subito con noi. Ma come faccio?