Giorno 0, Hardgen Street.- Parte 1

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<<Dovresti ascoltarmi quando parlo!>> replicò in preda alla frenesia mentre frugava in uno scatolo rovinato. Sembrava infastidita.

<<E poi cosa ci sarebbe di male? Almeno per questa volta potresti provarci. Sarebbe persino terapeutico rapportarti con il mondo ogni tanto.>> proseguì con la sua predica senza degnarmi di uno sguardo.

Ormai ero abituato a lasciar scorrere il suo fiume di confuse parole annuendo pur non avendo colto alcunché dal suo discorso.

<<E poi sembrano così cordiali. Hai visto i signori Barry, sono...>>

La farneticazione di elogi fu sterzata da uno sguardo compiaciuto nel maneggiare all'interno di quel groviglio di cartoni.

<<Eccolo!>> esclamò gioiosa. Agitava al cielo una rivista lucida, risalente a pochi mesi prima, come la gloriosa scoperta di un reperto storico. In prima pagina riportava la dicitura "L'assurdo sondaggio di Betty Friedan e le donne del..." il resto non riuscii a leggerlo. In seguito ripose il periodico su uno scaffale e intraprese senza riprendere fiato la precedente conversazione, che sarei stato ben felice di evitare.

<<James, dobbiamo ricominciare, lasciarci tutto alle spalle e se vogliamo riuscirci dovremo sforzarci.>> esordì abbandonando finalmente le sue faccende e scrutandomi con determinazione.

Trincerandomi dietro ad una espressione di ammonimento le feci segno di proseguire.

<<Quindi mercoledì sera?>> mi interrogò con un'impertinenza che non mi sorprese affatto.

Il suo sommesso barlume di speranza mi commosse. Riflettei abbastanza da mettere in discussione la mia fermezza. Non so dire se tutte le psicologhe fossero così dannatamente persuasive. Mi era impossibile negarlo.

<<E mercoledì sia.>> bofonchiai raccogliendo i cocci del mio orgoglio.

Non soddisfatta dei traguardi raggiunti mormorò cauta :<<Domani mi toccherà rassettare le ultime cose, dunque potresti andare a far visita tu alle famiglie del vicinato? So di chiederti tanto ma sarebbe un'ottima occasione per invitarli e magari gettare le basi di una buona convivenza in questo quartiere. Certo, mi sarei aspettata che si presentassero loro ma non traiamo conclusioni affrettate. Quindi lo farai?>>. Sbarrò gli occhi nell'improbabile tentativo di impietosirmi. Ormai ogni mia resistenza fu vana. Per non trafiggere maggiormente la mia integrità più di quanto avessi fatto preferii non proferir parola, annuii solamente.

Sconfortato mi rintanai nella camera da letto. La giornata che volgeva al termine mise a soqquadro il mio ultimo briciolo di serenità. Il trasloco, la terza maggiore causa di stress a detta degli studiosi, capitolò ugualmente a un gradino più basso di mia moglie. Amavo Isabel, per carità la amavo, eppure in determinate giornate avrei fatto a meno della sua presenza. Sempre pronta a psicanalizzarmi o ammorbarmi con sermoni speranzosi. Mi tocca riconoscerle però che fu una delle poche persone a credere nel mio potenziale persino nei momenti in cui dubitai di me stesso. Fu l'unica ancora che mi legò alla speranza, quella speranza che tende le sue mani solo a chi ha la forza di afferrarle e che da solo non avrei mai agguantato. E' pur vero che altrettante volte non mancava di criticarmi con un velo di dolcezza che la distingueva.

Trovava poco salubre trascorrere intere giornate al cospetto della mia fedele e affabile macchina da scrivere, una Remington Super-Riter datata 1952. Essa la consideravo la mia "seconda sposa". Ispiratrice di un profondo amore platonico. Tasti e lettere erano il suo silenzioso ed eloquente modo di comunicare. Mai una parola fuori posto né una controversia insensata. Non chiedeva nulla e io non pretendevo altrettanto da lei. Mia collega e roccia su cui riversare nei momenti di sconforto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 04, 2017 ⏰

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