I - La Grande Caccia

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Il suo radar termico indicava inequivocabilmente che era ormai di fronte ad esso. Lo ripose nel taschino della sua cintura di pelle di Nordak, trattenne il fiato e mosse ancora qualche passo in avanti, affondando i piedi nudi nel terriccio morbido, scuro e umido, senza aggiungere neppure il minimo suono al silenzio tombale della foresta. Stringendo la sua lancia con entrambe le mani, scrutò davanti e sé e finalmente la vide: la bestia era intenta a spolpare un grosso frutto legnoso e giallognolo staccato da un basso arbusto poco lontano. Con il suo becco uncinato e una mandibola interna capace di triturare anche il legno, lo gnarr era l'unico animale della foresta capace di nutrirsi di quel frutto. Guardandolo meglio, Tarak si accorse che qualcosa non andava. Il suo ventre era grande, troppo grande. Capitava non di rado di vedere esemplari molto grassi di gnarr, ma quel ventre era decisamente troppo gonfio. Tarak stava cacciando una femmina in procinto di partorire.

«Maledizione!» pensò, «eppure i segni erano chiari. Oggi sarei riuscito in una Grande Caccia e finalmente avrei fatto parte della cerchia dei Padri». In preda allo sconforto, nella sua mente balenò un'idea: «... e se imbrogliassi? Potrei uccidere la bestia, squartarle il ventre, nascondere i piccoli...»; i suoi muscoli si flessero, il busto si protese in avanti... e improvvisamente qualcosa di piccolo lo colpì sulla spalla sinistra. Si girò di scatto senza vedere nulla, a parte i due occhi scintillanti, piccoli come spilli, di Zon, uno degli altri due concorrenti, fissi su di lui. Coperto di pece dalla testa ai piedi, era quasi impossibile distinguerlo in quella oscura selva, illuminata e riscaldata soltanto dalle Grandi Luci Rosse. Zon, in piedi a pochi passi da lui, aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma non emise un fiato, accentuando però il labiale: «non - ci - provare» scandì inequivocabilmente.

Tarak sapeva benissimo che la legge degli Arconti proibiva di cacciare animali gravidi ma non ne capiva il perché; riteneva che fosse molto più importante ottenere il privilegio di poter diventare uno dei Padri, qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare. Avrebbe rischiato perfino la demolecolarizzazione, ma ora che Zon lo aveva visto, le cose si erano complicate.

Avrebbe potuto riaccendere il radar termico e cercare un'altra preda, ma sapeva bene che ormai da circa due generazioni queste erano diventate piuttosto rare. Probabilmente Zon e l'altro concorrente sarebbero arrivati prima di lui. Decise allora di rischiare il tutto per tutto. Con un balzo repentino e inaspettato, Tarak scagliò un pugno con tutta la forza che aveva in corpo alla mandibola di Zon, il quale cadde a terra con un tonfo sordo, tanto stordito quanto sorpreso. Lo gnarr, un attimo dopo, si girò di scatto, emise il suo caratteristico ruggito stridulo e, goffamente, tentò di scappare fra gli alberi, agitando furioso la coda munita di molti spuntoni affilati. Tarak, primo cacciatore della tribù dei Manu, non fallì il suo unico tentativo: preso lo slancio, con un tiro perfetto piantò il ferro della sua arma nel collo dell'animale, che stramazzò dopo aver caracollato per una decina di metri. Zon non fece in tempo a vedere la scena: la testa gli girava, la vista stava tornando un poco alla volta; cercò di rimettersi in piedi, ma un nuovo colpo lo raggiunse in pieno volto. Perdendo i sensi, gli apparvero una miriade di puntini colorati su sfondo nero, e quella fu l'ultima cosa che vide.

Bardak, il più saggio tra i Padri dei Manu e l'unico con il diritto di parlare per la tribù, disse: «porti con te una Grande Caccia, Tarak. Benvenuto tra i Padri». Lui, immobile di fronte a loro, lasciò cadere ai suoi piedi la pesante testa dello gnarr che teneva il mano. «Portatemi dalle vergini, dunque, così che possa sceglierne una», fece Tarak. «Non così in fretta: bisogna seguire il rituale», rispose uno degli anziani vicini a Bardak.

Il rituale, che cominciò allo spegnimento delle Luci, consisteva in un lungo ballo collettivo e frenetico attorno a un fuoco, dopo aver mangiato le parti della carcassa dello gnarr meno adatte ad essere conservate. La seconda parte del rituale, invece, riguardava esclusivamente i Padri e l'iniziato. Era risaputo che una ghiandola nel cranio dello gnarr conteneva un liquido con un enorme potere allucinogeno; l'iniziato doveva fumarlo insieme agli altri, mentre riceveva la Rivelazione da un leggendario arnese tramandato fino a loro da un passato remotissimo. Solo chi diventava Padre poteva vedere questo antico strumento magico; gli altri dovevano limitarsi ad avere fede. Tarak era scettico a riguardo. Si diceva che il vecchio strumento riuscisse ad animare cose, addirittura che contenesse dentro di sé persone e mondi interi. Restò scettico anche quando lo vide al centro del cerchio dei Padri, a cui lui era stato finalmente ammesso. Si trattava di un piccolo cubo metallico e opaco; nella faccia superiore erano presenti due piccoli intagli paralleli e ravvicinati, mentre al centro vi era un minuscolo foro. Questi erano gli unici segni che si notavano sullo strano oggetto, per il resto perfettamente liscio e omogeneo.

«Coraggio, tocca a te per primo» gli disse l'uomo che sedeva accanto a lui, destandolo dalle sue riflessioni sull'oggetto; «te lo sei meritato» aggiunse, e dopo un amichevole colpetto sulla spalla, gli tese la lunga pipa fumante del rituale. Tarak si fece coraggio, la portò alla bocca e aspirò a pieni polmoni.

Alla Deriva nello SpazioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora