1. She's my granddaughter

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1.

She's my granddaughter

Ero al parco.

Cercai di spingermi con i piedi sull’altalena. Tentativo fallito, le mie gambine erano troppo corte e deboli. Poi una mano mi toccò la schiena e iniziò a farmi dondolare. In alto. Sempre più in alto. Era la mano di mio padre.

Cercai con gli occhi anche mia madre. Eccola, seduta su una panchina sotto un salice, a qualche metro di distanza.

-Guardami mamma, guarda come vado veloce!-, annunciai entusiasta.

Lei mi guardò rivolgendomi uno dei sorrisi più dolci che le avessi mai visto, poi guardò papà. D’un tratto la sua espressione cambiò. Era angosciata, spaventata.

In un secondo mi trovai catapultata nella nostra auto. Papà era al volante, la mamma sul sediolino affianco che dormiva. Si tenevano le mani. Tutto sembrava perfetto, eppure c’era qualcosa che non andava.

D’un tratto iniziai ad allontanarmi da loro, dal mio sediolino, dall’auto. Mi ero materializzata al suo esterno.

Non feci in tempo a rendermi conto della situazione che dei luminosissimi fari provenienti dalla direzione opposta mi abbagliarono la vista. Ci fu un tonfo assordante. Mi immobilizzai. I rottami si erano scaraventati ovunque. La macchina dei miei genitori era accartocciata contro un altro veicolo.

Iniziarono a suonare i rispettivi allarmi.

Gli airbag si erano aperti.. troppo tardi.

Il mio sguardo si posò ancora una volta sulle mani dei miei genitori, congiunte l’una nell’altra, ma questa volta sanguinanti.

Aprii di scatto gli occhi e iniziai ad ansimare. Era solo un incubo, uno di una lunga serie. Con fatica alzai il busto dal soffice materasso. Ero inzuppata, ma era un incrocio di sudore e lacrime. Poi guardai oltre la vetrata. Una ipnotizzante luna piena illuminava le tenebre della notte.

Il pensiero del sogno di pochi istanti prima mi fece mancare il respiro. Involontariamente mi alzai, feci per infilare le pantofole e scesi silenziosamente le scale, fino ad arrivare alla porta sul retro. La aprii, e non appena i miei piedi toccarono la soffice sabbia bianca decisi di lasciare le ciabatte lì. Respirai profondamente.

Una fresca brezza estiva mi invase i polmoni. Il respiro aveva cessato di essere affannoso, mi sentivo già molto meglio.

Solo in quel momento mi resi conto che i nonni avevano il privilegio di vivere a poco più di venti metri dal mare a cui senza nemmeno accorgermene mi avvicinai sempre di più. E iniziai così a camminare a piedi nudi sulla sabbia fino a percorrere quasi tutta la riva. Dopo una decina di minuti mi stesi ai piedi di un’enorme palma. Non staccai un attimo gli occhi dall’oceano e dalla luna riflessa in esso.

In quel momento mi sembrò di sentire il rumore della notte. Era sottoforma di lievi e dolci accordi di chitarra.

Il rumore delle note si faceva sempre più chiaro finché non mi parve di sentire persino una voce umana che accompagnava le note della notte. Pensai di essere pazza.

Mi alzai improvvisamente, e senza un apparente motivo iniziai a camminare fino ad intravedere in lontananza del fumo, poi un fioco bagliore arancione, che si trasformò in fuoco. 

Poi capii: quello di poco prima non il rumore della notte, ma semplicemente una figura umana che intonava qualche parola accompagnato da una chitarra ai piedi di un falò.

Prologue - Welcome to Bali.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora