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I giorni passavano lenti e inesorabili, l'insufficienza di matematica, l'umiliazione non erano più nella mente malata di Crystal. La solitudine la opprimeva sempre di più e le lacrime scavavano nelle guance lunghi solchi salati. Seduta nel buio della sua stanza Crystal pensava a Peter, a Marina e a tutti gli altri. Ultimamente si sentiva fuori posto, sempre più estranea al mondo. Pensó alle innumerevoli volte in cui si era sentita di troppo, pensò a se stessa, chiusa in una piccola stanza, seduta per terra con la schiena appoggiata all'armadio. Si alzò asciugandosi le lacrime e andò verso la finestra, l'aprì e la scavalcò silenziosamente.
Il vento le accarezzava violento i capelli, ignorò gli sguardi della gente che la guardavano con terrore. Stava volando. Stava finalmente volando!
Il suo corpo si schiantò a terra pesantemente, si sentì uno strano rumore seguito da un gemito di dolore. Il sangue la circondava, le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi.
Si alzò e cominciò a girare in tondo per la stanza fino a quando non si risedette, con ancora in testa l'immagine del suo corpo inerme, in una posizione innaturale, circondato da sangue e disperazione.
Con la mente ripercorreva l'immagine di Peter che diceva a Jenna che era terrorizzato da Crystal perché lo fissava sempre e Jenna che gli diceva 《Sai perché ti fissa sempre?》e lui che le rispondeva 《Si》alzando gli occhi al cielo. Pensava ad una sua vecchia amica che aveva detto a Peter che lei voleva mettersi con lui, che lo amava tantissimo, e oltretutto Peter non aveva neanche risposto ma si era limitato ad allontanarsi come se la cosa non gli riguardasse. Forse non sapeva cosa rispondere, era imbarazzato tutto qua. L'unica cosa che Crystal sapeva era che doveva smettere di giustificare ogni singolo sbaglio di Peter. Ripensò anche a Karen, che riceveva sempre dei complimenti da parte di Peter, ogni giorno lui le diceva 《Karen oggi sei bellissima come sempre.》non sapeva quanto potessero essere sinceri quei complimenti e inoltre Karen era infastidita da tutte quelle attenzioni. Crystal avrebbe giurato che a Peter piaceva Karen ma lei continuava a negare e nessuno sembrava d'accordo con l'idea che Crystal si era fatta sui due ragazzi per cui era arrivata alla conclusione che era lei la fissata e non loro i ciechi.
Le lacrime scendevano copiose dagli occhi della ragazza. I clacson che strillavanano in lontananza erano l'unica distrazione di Crystal, l'unica cosa che la distoglieva dal suo inutile tentativo di dare un senso alla solitudine, sentiva la sua disperazione che avanzava, vedeva la sua vita irrealizzata, si vedeva morire nel letto di un ospedale circondata dai muri, riusciva a sentire il sordo "biiiiiiiip" che accompagnava la sua morte. Alzò gli occhi, le lacrime distorcevano tutti gli oggetti della stanza, per un attimo si chiese se l'inferno fosse quello. Ma il telefono vibrò: Peter le aveva scritto.
Crystal tiró un violento pugno sulla coperta viola. 《Smettila Crystal!》 urlò alla stanza vuota.
Si affacciò alla finestra, un po' per prendere una boccata d'aria, un po' perché nel suo cuore sperava di vedere Peter. Mentre si alzava pensava che lo avrebbe visto, che avrebbe alzato gli occhi verso di lei, che l'avrebbe salutata, che avrebbero parlato. Mentre apriva la finestra sentiva il suo cuore accelerare, quando guardò fuori la delusione di non vedere nessuno -tranne una vecchia signora portare a spasso il cane- fuori fu amara. In quei pochi secondi la sua immaginazione l'aveva portata nei luoghi più belli (il tragitto verso casa di Peter, ovunque fosse), le immagini di lei e il ragazzo che parlavano e ridevano e scherzavano e finalmente diventavano amici le avevano scaldato il cuore, ma vedere che non c'era, né in quel momento né mai. Rimase ancora un po' a fissare il vuoto, poi il suo sguardo andò alla scritta sulla strada "Amami" scritto a lettere giganti rosse. Chiuse la finestra rimproverandosi e si sedette di nuovo sul letto. I pensieri le si affollavano nella mente, non sapeva neanche distinguerli l'uno dall'altro, sapeva che voleva smettere di pensare. Le stava venendo il mal di testa. Odiava avere mal di testa. Guardò la sua scrivania: disordinata come la sua testa. Prese alcuni fogli e iniziò a leggere ogni scritta, ad analizzare ogni disegno, a cercare il motivo dei segni che aveva fatto sui figli. La verità? Quelle sul bordo le aveva fatte perché non sapeva cosa fare, quelle solitarie nel centro del foglio le aveva fatte perché era sovrappensiero e il disegno non era più un disegno perché era stato cancellato innumerevoli volte che non solo il foglio era rovinato ma l'albero (o qualunque cosa fosse) non era più un albero (o qualunque cosa fosse), bensì un piccolo insieme di linee disordinate (il tronco) che portavano ad un grande insieme di linee disordinate (i rami).
La sua testa viaggiava troppo velocemente e i suoi pensieri si focalizzarono su Marina, che era completamente disinteressata a qualunque cosa facesse Crystal, però quando era lei ad avere qualcosa da raccontare sembrava che tutti la dovessero ascoltare, dovevano stare attenti o si offendeva. Crystal non sopportava tutto questo, iniziava davvero ad averne abbastanza, si sentiva sempre noiosa e stupida quando era con lei e, per quanto le volesse bene, ultimamente stava cercando di tagliare i ponti con quella ragazza che la sminuiva sempre e la metteva in imbarazzo. Voleva urlare al mondo la rabbia che provava verso Marina, forse si sarebbe sentita meglio, ma non disse nulla, una lacrima le scese dalla guancia.

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