Prologo

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Mi trovavo a Las Vegas, ennesima missione, probabilmente una delle più noiose alle quali avessi mai preso parte da quando ero ufficialmente un membro dei Servizi Segreti degli Stati Uniti d'America. Ero chiaramente sotto copertura, diretta al piano interrato del Bellagio Luxury Hotel, nel quale alloggiavo, per assistere ad una delle tante partite di poker che si svolgevano all'interno del casinò. Per l'occasione avevo indossato un vestito di seta rosso, con le spalline, che fasciava perfettamente il mio corpo tonico, risultato delle diverse ore che passavo in palestra, senza includere l'addestramento militare al quale mi ero sottoposta solo due anni prima. Le Jimmy Choo nere mi conferivano ben quindici centimetri in più, sebbene fossi molto soddisfatta del mio metro e settantasei. I capelli neri mi ricadevano in onde morbide sulle spalle e lasciavano intravedere gli orecchini vistosi, oltre che mettere in risalto il trucco marcato e il rossetto rosso fuoco, perfettamente in tinta con il vestito. Osservai la mia figura allo specchio che si trovava in un angolo della stanza, alzando gli occhi al cielo nel constatare quanto, conciata in quel modo, ricordassi particolarmente mia madre. Scacciai subito quel pensiero, concentrandomi sulla missione che ero pronta a svolgere e prendendo la pochette nera che avevo abbandonato sul materasso. Lasciai la camera pochi istanti più tardi, diretta all'ascensore, che si aprì proprio mentre ero pronta a pigiare il tasto accanto ad esso, rivelando la figura di un anziano signore in compagnia di una ragazza che sembrava avere all'incirca la mia età. Non appena furono fuori dal mio campo visivo, probabilmente diretti in camera da letto, mi lasciai sfuggire una risata divertita, dal momento che provavo pena per quella ragazza, quindi premetti il pulsante che mi avrebbe condotta al piano interrato.
Quando le porte dorate del lussuoso ascensore si aprirono, mi ritrovai circondata da uomini in smoking, intenti a puntare tutti i loro soldi pur di riuscire a vincere una mano di qualunque fosse il gioco a cui stavano prendendo parte. Davanti a me, un uomo dalle spalle molto larghe e con un auricolare che si intravedeva sulla parte destra del suo collo, aspettava che gli mostrassi il mio documento, rigorosamente falso, grazie al quale avrebbe poi potuto lasciarmi entrare. Lo estrassi in fretta dalla borsa e, una volta certo che avessi l'età giusta per poter scommettere, scostò la fune dorata che segnava l'ingresso nella grande sala, permettendomi così di entrare. 
Mi guardai intorno per diversi minuti, camminando tra i vari tavoli, quasi completamente occupati da uomini, ma ben presto mi resi conto di non essere l'unica donna nella sala, infatti poco più avanti, seduta accanto a quello che doveva probabilmente essere suo marito, vidi una donna sulla quarantina, con gli occhi fissi sulle carte che l'uomo teneva strette tra le mani. Mi spostai verso le slot machines, e anche qui vi erano diverse donne intente a spendere centinaia di dollari, per ricavarne, nella migliore delle ipotesi, solo un quarto di quelli spesi. Ad un tavolo situato nell'angolo, riconobbi le figure di alcune delle persone che avevo il compito di sorvegliare a debita distanza, come mi era stato ordinato, ma che avrei osservato molto da vicino, dato che le regole non facevano proprio per me. Man mano che mi avvicinavo, l'odore di fumo si faceva sempre più intenso, al punto che mi sembrava che la stanza fosse improvvisamente stata inondata da una leggera nebbia. Riuscii a distinguere chiaramente il volto di Roger Clayton, un uomo di mezza età, braccio destro di Luis Garcia, ovvero l'uomo per il quale mi ritrovavo lì in quel momento, stretta in un vestito di seta e un paio di scarpe con il tacco vertiginoso, alle quali avrei di gran lunga preferito un paio di sneakers. Luis teneva un sigaro tra le labbra e sedeva proprio nell'angolo, aveva i capelli argentei pettinati all'indietro e il suo viso era solcato da numerose rughe, dovute chiaramente alla sua età avanzata. Alle sue spalle due uomini in smoking, che intuii fossero le sue guardie del corpo, si guardavano intorno e controllavano che tutto fosse in ordine e che nulla disturbasse la quiete di quel luogo, in cui si sentiva un leggero chiacchiericcio, sovrastato dalla musica proveniente dalle slot. Alla sinistra del mio obiettivo, sedeva un ragazzo, che identificai come Aaron Clayton, figlio di Roger e nipote di Luis. Aveva i capelli di un castano molto scuro e i tratti vagamente ispanici, molto simili a quelli di suo nonno, gli occhi scuri circondati da ciglia folte e una camicia nera fasciava il suo petto tonico, perfettamente in tinta con l'incarnato leggermente ambrato. Le maniche erano arrotolate e lasciavano bene in vista i tatuaggi che gli ricoprivano l'avambraccio sinistro, ma da quella distanza non riuscii a distinguere chiaramente quali fossero i disegni che erano raffigurati sulla sua pelle.
In quel momento capii cosa avrei dovuto fare, quel giovane sarebbe stato la mia chiave per arrivare al mio obiettivo, mi sarei servita di lui per riuscire a scoprire quante più informazioni su quelli che erano i traffici di Garcia, naturalmente facendo appello a tutto il mio fascino.
Mi avvicinai maggiormente al tavolo, con un sorriso furbo dipinto sul volto, ondeggiando i miei fianchi fino a raggiungere una sedia posta alle spalle del moro, prendendo subito dopo posto e accavallando le gambe, lasciando così scoperta parte della mia coscia destra. Nessuno si voltò per guardarmi, se non un paio di uomini seduti dalla parte opposta, che mi rivolsero uno sguardo disinteressato, tornando poi a concentrarsi sul gioco, in attesa del loro turno. Lanciai un'occhiata alle carte che il ragazzo stringeva tra le mani: un dieci ed una regina di picche, un tre di cuori e un sette di fiori. Spostai il mio sguardo sul tavolo, dove erano disposte, in ordine, un due di picche, un otto di cuori, un due di quadri e un jack di picche. Sorrisi nel notare che, con un po' di fortuna, il giovane avrebbe potuto tranquillamente incassare l'intero ammontare dei soldi posti sul tavolo, se solo il mazziere avesse tirato fuori una carta che gli avrebbe concesso di formare una scala reale. Mi avvicinai al suo orecchio, sentendo subito il suo profumo fresco invadermi i sensi.
"Se fossi in te, punterei tutto quello che ho.
Sussurrai sulla sua pelle, intravedendo l'ombra di un sorriso sulle labbra del moro, che non esitò a spostare tutte le sue fiches al centro del tavolo, in silenzio. A quel punto il mazziere rese visibile l'ultima carta rimasta coperta, che si rivelò essere un nove di picche, e il ragazzo davanti a me si voltò per farmi un occhiolino, prima di scoprire le sue carte e dichiarare ad alta voce di aver appena ottenuto una scala reale. Tutti i presenti lasciarono cadere le loro carte, borbottando parole incomprensibili alle mie orecchie, ma che sospettavo fossero dettate dalla frustrazione di aver perso l'ennesima partita. Quando sollevai lo sguardo, riuscii chiaramente a distinguere il corpo del moro, che si era alzato e mi si era parato davanti, tendendomi una mano ed invitandomi a seguirlo fuori dalla sala.

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