Trentacinque anni

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"Ma guardati. Guardati, lì davanti allo specchio che ti fissi con l'aria assonnata, datti una svegliata. In un unico movimento, stiracchiandoti, alzi il braccio per stropicciarti gli occhi gonfi di sonno ululando uno sbadiglio sonoro e lamentoso. Sotto queste luci bianche del tuo piccolo bagno piastrellato in celeste, l'atmosfera è cupa come tutte le mattine alle cinque e mezza, ora in cui ti devi svogliatamente svegliare, per andare a fare un lavoro che ti piace, ma non a quell'ora.

Lo specchio ti sta ancora guardando, quindi ti giri e ti spogli, spogliandoti pensi, ma pensando senti un suono: il primo che hai sentito oggi. Quel maledetto "BEEEP!-BEEEP!-BEEEP!" che ti rimbomba nella testa fino a che... non viene sostituito dal successivo, che molto spesso è quello dello scrosciare lento dell'acqua del tuo rubinetto. Quello del tuo schifosissimo lavandino, quello del tuo cesso che non ti vuoi mai mettere a pulire.

Sarà pure una cosa stupida ma vedendo l'acqua pigra di quel rubinetto ti ci rispecchi ancor di più che del riflesso dello specchio stesso;

"Io alle cinque e trenta di mattina sono svogliata quanto l'acqua del mio rubinetto." E' una frase che mi gattona sempre in testa.

"Datti una svegliata! Forza, infilati in doccia e non pensare più."

Il getto forte e caldo della doccia mi frigge sulla cute e rimbalza facendomi il solletico, muovo energicamente le mie dita sui i capelli mentre li sciacquo, poi chiudo l'acqua e sposto velocemente quelle tende fradice che mi fanno anche un po' schifo. Nel bagno c'è la nebbia, ed è molto freddo; un brivido mi percorre il corpo avvertendomi dell'urgenza di un asciugamano, ma prima, mi soffermo e guardo la mia pelle adulta, la quale non mi si addice e sembra accorgersi di questo mio pensiero perché emana vapore, come non fosse d'accordo: che non lo sia davvero?

Le mie mani non sono mai state belle, ma quando sono lessate dall'acqua, mi piacciono un po' di più, guardandole mi viene in mente mia madre che mi accarezza il viso, con le sue mani calde e rugose ed il suo anello nuziale freddissimo. Trovo un asciugamano solo quando ormai sono già asciutta ma me lo metto in testa a turbante e nuda torno in camera da letto. Il mio matrimoniale vuoto è da rifare, alzo le serrande e apro le finestre, faccio entrare quel grigio misto ad un pallido azzurro delle mattine d'inverno e magari anche un po' d'aria fresca.

C'è una nebbia spaventosa: é triste fuori. Do uno sguardo veloce alla sveglia: sono le sei. Mi siedo sul fondo del letto, mi infilo i lunghi calzini neri: prima il destro e poi il sinistro, rigorosamente, sennò, chissà come potrebbe andare la giornata, se tradissi la mia "routine dei calzini"? Indosso i primi jeans scuri che trovo e un maglione a collo alto rosso, bello caldo ma forse anche troppo natalizio. Metto delle scarpe parigine di pelle nera, e vado in cucina.

La mia cucina gialla è la parte della casa che mi stimola e mi piace di più perché ho sviluppato una piccola passione per la cucina verso i sedici anni, ha iniziato ad interessarmi e ho cominciato a sperimentare.

La mia cucina è gialla, fuori è grigio azzurro, la finestra è aperta ed io sono in uno spazio di contrasto fra questi colori; Essi vanno creando un verde che fa cambiare l'atmosfera: un verde che non conosco. Rimango per un po' a pensare ai colori, mentre il mio corpo prepara il caffè. Mi appoggio con il sedere al bancone, con una mano giochicchio con un filo di un vecchio centrino che mi regalò la mamma e con l'altra sorseggio il mio scuro e bollente intruglio mentre aspetto che il microonde abbia finito di scaldare la mia brioche integrale.

Guardo la finestra bianca che spicca sul muro grigio ma che guarda invidiosa il giallo dei miei mobili che la circondano e penso ancora ai colori.

Sono le sei e venti. "Ecco, hai finito la tua colazione ma dando l'ultimo sorso ti sei spaventata vedendo il tuo stesso riflesso nel fondo della tazza. Se ci fosse stato qualcuno avrebbe riso molto, ma non c'è nessuno, tranquilla...ti manca vero?".

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