Volevo correre, senza una meta, verso il tramonto, con le candide foglie autunnali che piovevano accarezzandomi il volto, un dolce sapore di malinconia.
Tra i monti la strada andava contorcendosi, schivando le basi dei monti, li risaliva sui pendii, lasciando al disotto i ghiacciai, la grandine, la pioggia, il vento, come delicata ghiaia in volto, che leviga i dolori passati: se dovessi buttarti da un burrone cosa penseresti per riuscire a volare e salvarti prima di raggiungere il suolo?
Gli alberi, le nuvole, il profumo dei fiori e il dolce nettare, non mi stupisce che le api ne vadano ghiotte, le rocce ruvide sulla pelle, il calore della sabbia che brucia sotto i piedi, il rumore che ti culla del mare, i pesci dei fondali, le dolci e fresche acque.
Quella strada, vicino alla ferrovia, il rumore di genti che viaggiano per il mondo ininterrotti, quanto piuttosto scanditi, che ti culla la notte, il pensiero di un viaggio che giungerà.
Le foglie divenivano rami spogli, tinti di soffice bianco, il mondo era silenzioso, lieve quiete, i passi attutiti sul suolo, correre per il gusto di correre, correre per quel viale, correre con la bocca aperta per catturare i fiocchi di neve e assaporare il sapore del vento di un altro paese.
Penserei al fatto che il vuoto è lì, che l'aria non mi farà galleggiare, che il vento non mi potrà far volare, ma le pietre hanno secoli sotto di me, quelle letali trappole a centinaia di metri sotto. Hanno visto mondi sorgere e sciogliersi, hanno visto creature che ora io posso solo immaginare, sono sopravvissute a situazioni inimmaginabili per un essere come me. Ma le mie ossa sembrano d'un tratto come loro, e forse non posso resistere a miliardi di anni di piogge e venti, ma importante o meno, sentiranno con tutta la forza il loro frantumarsi e lo ricorderanno per secoli.
La sabbia bagnata, i mondi a venire, le terre di guerra, le mine, le fughe, i castelli, i dittatori, i mari che in realtà sono laghi, le costruzioni che sembrano doni del cielo, le giungle, le zanzare che ronzano sulla pelle, i denti e gli artigli di una tigre, le terre non reclamate da popolazioni troppo pacifiche sottomesse per mano di falsi governi malsani che non sanno nemmeno cosa sia il "comune", i boccioli rosa, lo sconfinato mare dove la dea del fuoco è la salvezza e distruzione.
Le ruote sui binari, storti, non super silenziosi o magnetici, tantomeno efficienti, rilucenti sotto la luna, ricordo di tempi in cui il sorridere era naturale, ma non ancora un lieto lietissimo dono, canti di marinai, odore di rosticceria, biciclette, gente che va e viene, il mare che si colora di rosso e la spiaggia che si ritira, un viaggio sconfinato, tra ghiacci e fiamme, una stretta al cuore che non potrà fermarsi, nemmeno con la morte.
