La scatola di scarpe

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Un capriolo spaurito troppo vicino alla statale, un paesaggio con baite cariche di neve nella radura del bosco e sullo sfondo l'imbuto della valle; quanti inverni vi avevano trascorso; sulla destra una pista da sci, dove scendevano insieme. In questa, l'albero maestoso della scuola nella foto di classe con i ripetenti in disparte, il cinema-teatro sullo sfondo; quanti di quei volti non aveva più rivisto. E poi immagini del lago salato durante le vacanze in Tunisia, con lui. Ripresa dal poggio, la doppia fila di cipressi nella salita al casale della nonna, circondata dai covoni di grano, durante le vacanze in Umbria; qui, chissà perché, li piantano solo nei viali dei cimiteri. Immagini in bianco e nero o seppia col bordo frastagliato, di piccolo formato le più vecchie. Oh, sì, i colori riusciva ad immaginarli lo stesso. E ancora dei cirri sfilacciati, con il sole dietro; l'aquilone che vi scorreva sopra, tenuto al suo braccino. Ai piedi i sandaletti della colonia. Attimi estratti da una memoria che, ormai, bisognava aiutare. Sotto, sul fondo, testi delle canzoni preferite e un'immagine di Mandela giovane, tra molte facce scure. Questa del maremoto era una vera cartolina in bianco e nero, col timbro dal porto di Messina.

Poggiò stancamente gli occhiali sul coperchio della scatola; gli occhi velati si volsero alla finestra, che, dalla sedia, sembrava lontanissima. Il bastone accanto, dal pomolo d'argento a testa d'ariete, pendeva di sbieco sfiorandole le ginocchia; aveva il terrore che scivolasse a terra senza riuscire poi a recuperarlo; sarebbe stata persa. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, spingendo con le poche forze rimaste, riuscì a sollevarsi in piedi e, col palmo della mano libera, a trascinarsi fino al bordo del lungo tavolo. Adesso avrebbe abbandonato le pareti bianche del parallelepipedo, la fortezza dei suoi ricordi assediata da mazzi di fotografie sparse e lasciate in disordine. Come se, di colpo, fosse stanca di ricordare. Se ne sarebbe staccata, tuttavia, guardandolo come una cosa cara. Dentro c'erano stati rinchiusi i momenti belli della sua vita, quando valeva la pena viverla. Da tempo si diceva che avrebbe dovuto scrivere due righe, ma per chi, ormai, che non era rimasto nessuno? O meglio, aspetta, qualcuno era rimasto ma non ricordava più chi. Lasciare una descrizione, anche scarna, dei motivi che la spingevano. A fare cosa? Si chiese, confusa. Ma c'erano motivi che valesse la pena far conoscere ad altri? Dalle persiane socchiuse filtrava una luce invernale, rigando a pettine il cotto. Adesso doveva staccarsi. Soffrendo, traversò lo spazio vuoto fino alla parete della strada aggrappandosi ad uno scuro. Poi si lasciò posare sul davanzale come un accappatoio svuotato del corpo. Aprì infine la finestra. L'aria fresca, scompigliandole il foulard, investì un viso segnato e, forse, anche le poche idee rimaste come il filo di una maglia che viene disfatta. Un attimo, un brivido di vita, (oh, sì, se la ricordava quella sensazione), che trascorse rapido. Piegando il capo, lasciò allora cadere sotto uno sguardo spento: il selciato della piazza, quel pomeriggio, nonostante il tramonto provasse a colorare le facciate, le sembrava più grigio che mai ma, se ne stupì per l'ultima volta, stranamente accogliente, come da ragazza, quando le amiche venivano a chiamarla per uscire.

" Mamma, sono io, dove sei?"

La voce, che aveva già sentito di sicuro, arrivava dal corridoio; aprì gli occhi, come in un risveglio turbato, e con un filo di voce, rispose:

"Non lo so più. Forse sono in sala, ... che guardo fuori. Chi sei?"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 11, 2014 ⏰

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