Atto Unico

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[SOUNDTRACK:  Savages- You're My Chocolate ]


 Non se ne capacitava. Era stranito e, per quanto se ne stesse lì a fissarla, qualcosa gli diceva che non era quella la verità. O almeno la verità apparente.
Era rimasto scioccato dalle sue opere. Come se si esprimesse attraverso il demonio stesso. Ehi, puoi scontrarti con i vivi ma da certe cose ci si deve tenere alla larga! Lui, abituato al peggio del peggio ora la puntava con l'espressione corrucciata e una voragine di pensieri che no, non gli tornavano.
Al centro del grande stanzone in cemento, su una pesante sedia in metallo, con le mani e le gambe legate a quella sedia, no, non vi era una strega ma una ragazza dall'aspetto innocuo, né troppo bella, né troppo brutta. Piuttosto banale se non fosse stato per quegli occhi neri, leggermente distanti, che la rendevano un poco meno umana. I capelli scuri a caschetto con una frangetta corta e frastagliata e abiti... normalissimi, persino noiosi.
La ragazza lo fissava in silenzio, il viso scarno e pallido e nello sguardo una paura velata solo dall'intelligenza che esprimeva.
Lui si grattò le testa meditando sul da farsi.
Quando aveva ricevuto l'incarico dalla famigerata Black Lilium si era sentito orgoglioso e compiaciuto di essere stato finalmente riconosciuto nella sua "abilità" ma ora qualcosa lo turbava profondamente.
Nella mente passava in rassegna le opere di lei, illustrazioni di qualcosa che vedeva come porte sull'inferno che però diventava zuccheroso in modo triviale e malato, con creaturine dall'anima scura che però, a prima vista, erano piccoli giocattoli leziosi. Proprio come lei... no, lei non era leziosa. Era banale!
Nulla della sua figuretta secca lasciava intravedere il mare nero che le si agitava dentro. Sembrava appena uscita da un collegio.
Lei lo fissò, la bocca tappata dal nastro adesivo americano, gli occhi neri e lucenti.
La osservava a sua volta, forte di tutto il suo "armamentario da guerra". Che si era costruito in una vita. Perché lui si era sempre sentito diverso, altro da quella massa di dementi che ogni giorno si sveglia per vivere la vita che gli è stata imposta. Le loro menti tutte allineate. No, lui era un borderline, uno ai margini, era un furbo, eh, uno di quelli che non freghi, anzi, lui frega te. Infondo era stato bravo, no?
Non era poi così facile essere riconosciuti dalla Black Lilium come "degni" collaboratori. Già, la BL, un'organizzazione rinomata nella mala, anche per il fatto che quando si trattava di "lavoretti" selezionava le piccole bande criminali della zona, che ne ricevano fasti e onori oltre a buoni introiti e qualche piccola agevolazione.
Lavorare per la BL era come vedersi aprire la porta degli affari grossi, altro che furti, spaccio e vandalismo.
E c'era riuscito, lui che non temeva nulla e neanche la Black Lilium, anzi, non vedeva l'ora di dimostrare quanto lui e la sua banda valessero e stessero un passo avanti.
No, non aveva paura di niente... tranne di quelle cose che non capiva, che gli sfuggivano, che non erano concrete ma sfumavano tra le dita.
Ecco, lei un po' di paura gliela faceva.
Gli era stato commissionato di rapire questa tizia: un'artista, una pittrice che apparteneva al movimento artistico Lowbrow, che significasse a lui sfuggiva ma neanche gli interessava capire. Serviva solo sapere dove esponesse o dove avrebbe presenziato. Era una di quegli artisti in voga che vengono vezzeggiati dal mercato perché ci vedono chissà quale potenzialità e la Black Lilium voleva che la rapissero per un lauto riscatto. Ma il vero motivo non era quello. Il vero motivo era far capire al sistema che avevano le mani in pasta ovunque. Che non disdegnavano nulla. Che le loro dita guantate si allungavano su ogni settore della società.
Lui non lo sapeva, troppo impegnato a fare il piccolo criminale, l'alternativo, quello ai margini. Figurati se aveva tempo per le sottigliezze o peggio ancora, la cultura!
E questo lo aveva reso una strana contraddizione. Da una parte una carogna impietosa e pericolosa, dall'altra, uno senza strumenti per affrontare un mondo che non fosse il proprio... uno che a modo suo era rimasto "puro" nella sua ignoranza, dove tutto era possibile, un po' come la vedono i bambini.
Ad esempio era possibile che lei ora gli stesse gettando un maleficio.
Ma vi era altro che lo aveva colpito, nonostante la strizza che aveva provato nel vedere le opere di lei alla mostra allestita. Un'indignazione che aveva attraversato tatuaggi e percing, catene e borchie per insinuarsi sotto la pelle, scuotendolo sino alla nuca, sfiorata da capelli maltagliati in una cresta scomposta.
Ebbene sì, oltre quell'inquietudine che provava davanti a una mente tanto perversa vi era altro.
Perché nulla pareva esternare quel suo mondo d'incubo?
Lui era certo che quella parte fosse fondamentale, che cazzo, non puoi comandare se hai un aspetto da sfigato e non puoi far paura nelle risse se sembri un perdente.
Si era costruito la sua "armatura sociale" in modo che che gridasse forte e chiaro chi lui era... e lo faceva, altro che!
Lei non gridava invece, e non per via della bocca tappata dal nastro adesivo. Il suo grido era muto e non si sentiva. Semmai si vedeva. Ma non su di lei, piuttosto "attraverso" lei.
La lampada al soffitto tremolò lievemente, lei mugulò qualcosa ma lui era troppo preso nei suoi pensieri. Le si avvicinò guardandola dall'altro verso il basso e un pensiero prene forma nella sua mente, un pensiero sin troppo "filosofico" per lui.
"Chi dei due possiede la paura?"
Lui ha dovuto costruirsela pezzo pezzo lei non ha nulla se non la sua pseudo arte... quella parola, "arte", gli fece scivolare via tutte le idee per lasciarne viva solo una.
"Un posto dove essere. Lo specchio del dentro che non è fuori."
Cazzo, si stava arrotando su idee assurde!
Lanciò un calcio a un pezzo di cemento scrostato.
Lui ha sempre dovuto gridare un qualcosa che per esistere era certo che avesse bisogno di essere mostrato, sempre e ovunque. Dalla camminata indolente, studiata a tavolino come ai modi nervosi, sempre pronto a scattare, fumino... ma lui era fumino? E che cosa voleva dire davvero quel tatuaggio sul braccio? I buchi che si era fatto lo avevano reso un temerario o uno che schifa la norma? Era strutturato per ciò che voleva essere. Ma perché esserlo, non lo sapeva. Non gli erano state mai bene certe cose ma forse era solo un dannato pesaculo e un facinoroso e doveva pur giustificare questo suo modo di essere?
Doveva trattarsi per forza di una strega perché quella cosa secca che gli stava davanti con gli occhi da aliena, senza dire una parola, lo stava mandando in crisi!
Lei aveva trovato la dimensione del suo essere lui l'aveva solo scimmiottata in una serie di cliché non meno costruiti di quelli imposti dalla società. Ma a un pensiero tanto critico non ci era arrivato o forse non ci voleva arrivare.
Le si avvicinò, incerto e combattuto ma troppo desideroso di capire quello che non gli tornava... se non altro aveva una mente abbastanza brillante che non disdegnava di ragionare sulle cose, per quanto sino ad ora erano state sempre questioni altamente prosaiche e assi poco esistenziali.
Con un colpo secco strappò via il nastro adesivo, lasciando una striscia rossa sulla pelle diafana della tipa.
«Se gridi ti pesto... anche se tanto qui non ti sentirà comunque nessuno.»
Lei non gridò, non reagì, a parte gli occhi lucidi per il dolore di quello strappo. Lui la fissò con le labbra arricciate. E improvvisamente il disagio aumentò. Si sentì un coglione. E l'idea di sentirsi in quel modo lo fece sentire ancora più coglione. "Altroché se è una strega!" pensò.
«Perché fai quelle cose terribili?»
Lei tacque, forse non capiva. Restò che tacque.
«Dai, quella roba infernale che disegni... da dove ti esce? Tu sei... hai dei problemi di testa per far quelle cose, dai!»
«È arte» rispose infine lei.
«qualsiasi cosa sia mette angoscia, fa schifo!»
«Dico delle cose e non sono belle, però lo faccio in modo ironico... tu vuoi sentirti dire solo cose belle?»
Lui si fece serio. Sentì di essersi esposto a un giudizio da "coglione parte due".
«Certo che no, ma il mondo fa già abbastanza schifo, non ci servi tu.»
«Ma spesso nel mondo le cose accadono senza senso, io gli do un senso. Il mio.»
Mmm, che voleva dire?!... Meglio non chiedere rischiando di passare alla fase 3 dell'apparire coglioni.
«Sei così banale e pensi cose tanto assurde. Bah... » e qui il discorso stava per scadere in una domanda da asilo. Scosse la testa assumendo un'espressione "cattiva", sperando che gli riuscisse bene. Oh, era lui il cattivo di tutta la storia, lei invece era l'ostaggio insipido che faceva cose pessime. Si tirò su con la schiena sempre guardandola dall'alto in basso. Un po' di effetto, quel cambio di postura, parve averlo perché lei serrò le labbra irrigidendosi. Lui sorrise non riuscendo a celare la soddisfazione di quell'ennesima "messa in scena".
Con un cenno della testa tornò a rivolgersi a lei. «Tu non sembri l'autrice di quella roba. Se uno non vede i tuoi disegni non sa che sei così stramba.»
«Non sono stramba. O meglio, sono quello che sono e non devo sbandierarlo. Lo fa la mia arte per me. Io parlo di me e di come vedo le cose, attraverso di lei. Poi, sono quel che sono ma non mi sono mai posta il problema. »
Ma come no?!!! Lui aveva passato la vita a voler dimostrare chi era, a volte anche forzandosi. Doveva essere ciò che voleva essere e per esserlo, doveva lavorarci su ed esibire il frutto del suo lavoro. Che voleva dire "sono quel che sono?!"
«Non ti sei mai sentita diversa?»
Lei fece un cenno di diniego «sono gli altri che decretano che lo sei, tu per te stesso sei normale, si giusto... poi accade che quello che sei agli altri non piace o non quadra... perché sono qui, che cosa volete da me?! » L'ultima frase rivelò la paura che l'attanagliava e che aveva sopito cercando di fare cosa gradita al suo carceriere in modo da non avere rogne.
Lui non rispose, aveva lo sguardo fisso sulla punta degli anfibi e la mente era entrata in un vortice di cose che non poteva certo dire che gli piacessero.
Lei lo osservò tramante ma poi lo sguardo si fece duro in un moto di orgoglio, forse o solo per cercare di avere nuovamente l'attenzione di lui, fosse anche in negativo.
«Io sono strana... hai ragione»
Riesce nel suo intento perché l'altro torna a guardarla. Lei continua.
«E tu? Sei davvero quello che mostri?»
Quello che per lei voleva essere una ricerca di pietà da parte di una persona che forse poteva non essere ciò che dava a vedere, divenne un'arma affilata e impietosa per lui che si sentì punto sul vivo. La colpì con uno schiaffo. Ma non gli diede alcuna soddisfazione. Le rimise il nastro adesivo sulla bocca e chiuse veloce il discorso.
«Non ti ammazziamo se pagano... ma tanto pagano e tu tornerai a fare quelle cose orrende che paiono piacere tanto».
Quando si chiuse la porta dello stanzone alle spalle andò in bagno, si levò il passamontagna e fissò a lungo la sua immagine riflessa nello specchio, le ultime parole di lei che gli risuonavano nella testa.
Più si fissava e più non si riconosceva, più si fissava e più vedeva altro da lui... cacciò dalla tasca un pennarello indelebile e provò a scarabocchiare qualcosa sulle mattonelle... uscì una roba che doveva essere il muso di un cane, uno di qui cani grossi e bonari... aveva sempre voluto un cane...


[L'illustrazione: "Krampus" di Casey Weldon ]

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 10, 2019 ⏰

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