Quando mi svegliai, dopo le solite urla, capì che era tempo per me di emigrare in un luogo tutto mio. Un monolocale sarebbe stato l'ideale; un letto, un comodino e interminabili scaffali per i miei libri.
Adoravo i libri. Senza la loro costante presenza, la mia vita sarebbe stata vuota. Camera mia ne era piena. Il mio materasso, giallastro per via dell'usura, era retto da una pila di enciclopedie e libri vari. I miseri scaffali che avevo sopra la testata del letto, erano pieni; a volte, prima di addormentarmi, pensavo alla remota possibilità che gli scaffali cedessero.
Un raggio di sole penetrò attraverso le tapparelle fino alla mia fronte. Sentì il calore svegliarmi il corpo e la mente, come se in quel raggio fosse racchiusa l'energia più pura del pianeta.
Mi godevo la mia solitudine, prima che la mia matrigna, con un'innata delicatezza femminile, spalancasse la porta, come se lo avesse fatto per sbaglio. Le avevo già spiegato innumerevoli volte di bussare prima di entrare. Tentativi inutili.
− Elizabeth, tuo padre è un coglione. Anche oggi ha saltato il suo turno e se andrà avanti così, sarà licenziato, cazzo! − disse Melinda con aria sbronza.
− E tu, Melinda? Hai visto che pessima cera hai? Cos'avete combinato ieri sera? −.
− Sentimi bene stronzetta che non sei altro, noi siamo adulti e vaccinati e facciamo un po' quel cazzo che ci tira culo! − disse con tono rude mentre cercava di reggersi in piedi.
Ogni volta che assistevo a quelle scene, una parte di me moriva. Ero abituata a quella vita rozza, alle urla e alle offese: eppure ogni volta era come la prima. Perdevo il controllo del corpo. Il tremolio mi assaliva senza pietà, dalla punta dei piedi alla testa. E quando tremavo, i miei nervi saltavano, letteralmente, per aria.
− Fino a prova contraria questa è la mia stanza, potresti uscire per favore, madre? −.
− Certo vostra maestà, ogni suo ordine è un desiderio − disse correndo in bagno a vomitare dopo aver sbattuto la porta.
Non ce la facevo più ad andare avanti in quel modo. Loro erano i miei genitori e in fin dei conti li amavo, però ero arrivata a un limite di sopportazione critico. Da settimane riflettevo sulla possibilità di trovarmi un appartamento, dove poter stare in tranquillità a scrivere e a leggere.
Spostai bruscamente le coperte mettendomi seduta sul bordo destro del letto. Trovate le pantofole mi misi l'accappatoio per poi dirigermi al piano inferiore.
L'odore del vomito e morte, misto alla birra, impregnava tutto il salone. Lattine di birra ovunque, mozziconi di sigarette in mezzo al divano e gente sconosciuta sdraiata per terra. Ero sconvolta davanti a quel panorama disgustoso.
− Elizabeth, pensi di spostarti o devo spingerti giù? − disse Melinda sbuffando.
Scesi velocemente le scale in modo da non dare la soddisfazione a Melinda di buttarmi giù, ancora. La prima volta che lo fece avevo otto anni; mi ero seduta a metà scala quando lei, ubriaca come suo solito e con la vista offuscata, mi aveva scambiato per una creatura degli inferi. Io, spaventata, mi ero messa a piangere, cosa che Melinda aveva percepito come le urla feroci del mostro. Senza un briciolo di cognizione mi si era scagliata contro, nel disperato tentativo di annientarmi. Ero ruzzolata di qualche gradino laddove, per istinto, mi ero aggrappata al corrimano. Melinda, meno fortunata, si era fatta l'intera rampa di scale come una palla di grasso, andando a sbattere contro il muro. Era rimasta in coma per svariate ore. Il buco alla parete non è mai stato aggiustato.
− Chi è questa gente? E cosa ci fanno qui? − chiesi furiosa.
Melinda non rispose subito. Si fermò all'entrata della cucina, si girò lentamente con aria indifferente e disse: − Sono i nostri nuovi amici tesoro, li abbiamo conosciuti ieri al Peterson. Ora devo bere perché ho la gola secca, perciò non rompere le palle! −.
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Elizabeth Carson
HumorNon siamo noi a scegliere la famiglia e nemmeno loro a scegliere i figli. Quando ti ritrovi in una famiglia, come quella di Elizabeth Carson, le cose sono due: o reprimi l'istinto omicida oppure ti unisci a loro.