00 / Un'emozione senza nome

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Anastasia


Anastasia ancora non sa che ciò che avverte alla bocca dello stomaco è paura. Sta cercando di darle un nome diverso, qualcosa di più poetico – malinconia, nostalgia – e meno banale.

È in fila ormai da due ore, ferma in piedi, e non ha smesso un solo attimo di sfregarsi le mani sui jeans. Sta sudando tantissimo ed ha tutti i palmi appiccicosi, segno evidente del suo stato d'animo nervoso e agitato.

Vorrebbe tanto dare la colpa al tempo per il troppo caldo, ma la giornata di oggi è particolarmente umida e il cielo promette solo tanta pioggia. Il sole si è nascosto dietro le nuvole da questa mattina e fa capolino solo di tanto in tanto, sfondando con i suoi deboli e pallidi raggi quel soffitto di nuvole scuro e deprimente. Le nubi si sono addensate molto ed hanno assunto un colore inusuale, un marroncino-nero che non lascia presagire a nulla di buono.

Anastasia si sente un po' come il sole di questo martedì pomeriggio, sconfitta e intimidita da tutto ciò che la circonda. Abbassa lo sguardo e sospira rassegnata: ha dimenticato l'ombrello a casa e probabilmente si beccherà tutta l'acqua ed un bel raffreddore.

C'è anche qualcos'altro che la disturba ancor più di quell'innocente distrazione, qualcosa che l'ha presa in ostaggio dall'interno e che la sta infastidendo con violenza.

Paura.

Scuote il capo e scaccia via quella parola sostituendola con "agitazione" perché suona meglio e non la fa sentire una pappamolle.

È tutto okay, si ripete mentre intorno a lei il gruppo di persone aumenta un poco di più, è tutto okay, di cosa dovresti avere paura?

Lei sa ma non vuole ammetterlo perché farlo equivarrebbe dichiararsi apertamente una fifona, una ventiduenne che si comporta e reagisce come una ragazzina alle prese con i primi scompensi ormonali.

E questo non va affatto bene.

Il cancello di metallo, a qualche metro di distanza dalla folla, cigola sotto la grande mano di un uomo di mezza età. La folla si dimena e qualcuno lancia gridolini striduli mentre Anastasia, ancora intenta a torturare i suoi poveri palmi sudati, se ne sta buona buona a fissare le sue nuove scarpe. Per l'occasione ha deciso di indossare un paio di Vans nere che le stanno massacrando i piedi perché sono ancora rigide e senza forma. Probabilmente l'indomani si sveglierà con dei dolori allucinanti, un paio di vesciche sui talloni e una considerazione di sé stessa assai bassa, ma al momento si può dire molto contenta del suo nuovo acquisto.

Il signore nel frattempo passa accanto alla fila transennata e scruta le ragazze cercando chissà chi tra quei volti estasiati. Una donna alza le braccia e si sporge verso di lui per gridare qualcosa che Anastasia non sente.

Ma lei tutto questo non può vederlo perché è troppo impegnata ad estraniarsi dal mondo che la circonda.

L'uomo annuisce, consulta un foglio bianco e chiama a sé la signora mora ed una bambina di undici anni che sorride soddisfatta. A quel pittoresco gruppo si aggiungono altre due giovani e perfino un ragazzo dai capelli azzurri.

«Elena? Elena Frolli?» chiama l'uomo.

Istintivamente Anastasia alza lo sguardo e stringe i pugni: era ovvio che di Elena non poteva fidarsi! Quella stronza le aveva mentito, aveva detto che ci avrebbe pensato lei a...

«Anastasia? Anastasia Sparta?»

Oh.

Anastasia non sa che fare. Ora la morsa nel suo stomaco è ancora più stretta e la sta divorando viva. La paura – perché sì, si tratta di paura – ha spazzato via ogni altra emozione lasciando Anastasia in un limbo di sentimenti contrastanti.

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