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<<Mamma, papà, perché ci sono quei signori con lo zaino e un bastone che camminano per la città?>>
<<Vedi Giorgia, loro sono dei pellegrini, girano il mondo in cerca di pace con sè stessi.>> mi rispose papà mentre passeggiavamo tra i lunghi viali della Capitale. Non risposi e continuai a seguire i loro passi con gli occhi. Non erano passi stanchi, anzi quasi sembrava che la stanchezza per loro non esistesse affatto.
Avevo quattro anni e vedere quei signori con degli zaini colmi e dei tappetini arrotolati agganciati alle borse mi affascinava.
Ero solo una bambina ma vivere in una città grande, caotica e multiculturale come Roma era bello. Era casa. Non sono nata lì, ma i miei primi ricordi d'infanzia sono legati tutti a quella città ricca d'arte e cultura.

Fin da bambina ho sempre avuto sogni più grandi di me. Era bella l'idea di poter diventare una cantante famosa e potermi esibire su un palco tutto per me allo Stadio Olimpico.
"Sogna sempre in grande" mi dicevano tutti.
Così ho sempre fatto. Ho sempre sognato in grande, e lo faccio tutt'ora, nonostante alcuni anni passati non sono stati semplici come bere un bicchier d'acqua.

Qualche mese dopo, nell'aprile dell'ormai lontano 2002, poco più di un'anno dopo la nascita di mia sorella Amelia, mi diedero la notizia. Ero a spasso con papà per le vie di San Lorenzo, dove abitavamo, un quartiere situato poco lontano dal centro di Roma.
<<Puzzola..>> così mi chiama mio padre.
<<Sai, tra qualche mese andremo via da qui.>> disse.
<<Ma come papà? E dove andiamo? Stiamo via tanto?>> replicai io con curiosità.
<<Si, staremo via tanto, andremo a vivere in un'altra città. Sai, molto più piccola e meno caotica. Vedi tutte queste cacche di cani? Lì per esempio, non ne vedrai neanche una perché in confronto sarà una città molto più pulita.>>
Quelle parole risuonavano nella mia testa.
"Ma cosa importa a me delle cacche dei cani" pensavo.
<<Ma papà come faccio qui? Vado all'asilo e sto bene con tutti i miei amici, e poi che mi dici di Sarah? La potrò vedere di nuovo?>> dissi con la curiosità che dal tono della mia voce diventava preoccupazione.
<<Certo che potrai vederla ancora ma purtroppo non tutti i giorni. Starai bene.>>
Io che mi sono sempre affidata a mio padre fin da piccola cercavo di dare un senso a ciò che stava dicendo ma questa volta, giuro, non ci riuscivo.

Sarah era la mia migliore amica, facevo tutto con lei. Era una bambina della mia stessa altezza, magra e con dei capelli che all'epoca le terminavano con un aggroviglio di boccoli bellissimi. Ogni giorno dopo scuola le nostre mamme ci portavano a Villa Mercede, un parco enorme ricco di alberi altissimi, ricordo che erano pini perché ci divertivamo a schiacciare le pigne per mangiare i pinoli. Quando arrivavamo al parco c'erano sempre Flavio e Stefano ad aspettarci, e come fanno tutti i bambini quando sono in un parco cominciavamo a giocare fino a che non tramontava il sole.
Questo era ciò che una bambina di quattro anni stava per perdere, e me ne rendevo conto, diamine se me ne rendevo conto.

Passai i miei ultimi mesi a Roma con la paura che il giorno della partenza arrivasse troppo velocemente. Non volevo abbandonare l'infanzia che mi ero creata, le amicizie che avevo e la città in generale. Roma è grande e c'è un gran casino tra il traffico e le persone poco affidabili ma era casa mia. E io non volevo saperne di dover lasciare tutto.
Quando si è obbligati a lasciare una città che ti ha regalato così tanto e che in qualche modo ti ha cullato e cresciuto, la mente parte ma il cuore resta dove sente di dover restare.

Così nel luglio dello stesso anno ci trasferimmo in Umbria tutti e cinque, perché ormai da qualche mese nonna Giuliana viveva con noi. Città di Castello per la precisione, una città che messa a confronto a Roma non gli allaccia neanche le scarpe.
Casa era molto grande, e visto che prima abitavamo in 50 metri quadri in cinque questa era l'unica cosa positiva.
Ricordo ancora quanto tempo passai a piangere.
A settembre mamma mi iscrisse all'asilo e io non volevo andarci, mi aggrappavo ai suoi vestiti urlando come una pazza in cerca di qualcuno che venisse a svegliarmi da quell'incubo orribile. Solo che purtroppo era tutt'altro che un sogno.

I primi mesi nel nuovo asilo non erano semplici, non ero e non sono di certo una persona che si preoccupa quando si tratta di fare amicizia. Anzi, sono sempre stata solare e propensa a conoscere nuove persone.
Ma come? Come potevo pensare di crearmi una nuova vita, dei nuovi amici o addirittura pensare di vivere in un posto che non sentivo casa mia? Città di Castello per me non era altro che la città in cui sono nata prima di trasferirci a Roma. Per il resto, non rimaneva nulla nei miei pensieri che potesse farmi accettare questa città.

Passarono gli anni e dalla mia indole di ragazzina calma e simpatica diventai la persona più detestabile di questo mondo.
Alle elementari comandavo io ed io soltanto.
I miei compagni mi chiamavano "la principessina del castello", e avevano ragione, ma non perché volessi, forse era solo un mio modo per reagire a tutta la situazione che mi aveva sconvolto la vita.
Insomma, quasi che mi divertivo a essere "odiata", solo per dirlo ai miei e fargli capire per ripicca che ero dove non volevo essere.
Facilmente intuibile che a quattro anni non sei tu che comandi in famiglia perciò le speranze di sentir dire ai miei "torniamo a Roma" si spensero velocemente.

Questo mi costrinse a dover accettare il fatto che i miei amici non li avrei più rivisti, se non a distanza di lungo tempo, e che mai sarei potuta tornare a vivere nella mia città del cuore.
Dovevo adeguarmi ad una nuova vita. Una vita con ritmi differenti e tanta solitudine.

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