Aprile.

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Vorrei essere il mare, il vento che accarezza i rami, il profumo del mattino, vorrei poter volare in alto per sentire il sole più vicino.

Mi perdo spesso nei miei pensieri, svanisce la realtà, posso fare qualsiasi cosa, ma non riesco a trovare un punto fermo, qualcosa a cui tenermi quando idee confuse prendono colori e forme reali, lunghi viali da percorrere che non hanno però sempre il profumo di pace che aveva questo giardino.

Piove.

Sta diluviando ed il blu del mare è invaso di grigio, ne sento l'odore, i tuoni fanno tremare i vetri.

Io ero Margaret Josef Grange.






Fu costruita nel 1895 la mia casa, era avvolta nel più intenso verde, il giardino era sempre in fiore e non mancava alba in cui Stefan con cura indossasse i suoi stivali blu per andare a passeggiare tra le rose; le preferite di Rose erano quelle rosse.

Qualcosa lo legava a quel giardino, come se lei avesse donato il suo profumo a quei fiori colorati che Stefan innaffiava con tanto amore.

E nel silenzio dell'alba, la sua disperazione svaniva, guardava la vita risvegliarsi con le prime luci del mattino, era come se Rose fosse lì.

Delle volte credeva di averla conosciuta solo in un sogno eppure era convinto di sentirne ancora il profumo alla sera prima di addormentarsi.

Come non fosse mai esistita, sparita nel nulla una sera d'estate.

E lì, dietro il vecchio cancello di quella casa, illuminato dalla fredda luce di un lampione, ci vivo io.

Oggi piove.
Come ogni santo giorno di questo mese.

Il ticchettio incessante delle gocce che dal tetto della mia camera precipitano nella bacinella a terra mi stanno facendo impazzire, questa casa sta cadendo a pezzi, come me.

7:26.

Il sol pensiero di dovermi sfilare il mio caldo pigiama nel gelo di questa stanza mi fa rabbrividire ancora di più. È tardi.

Alle 7:43 passa l'autobus in fondo alla strada di casa mia, sono 3 fermate ed alla fine di queste c'è uno spiazzale immenso nel centro della città in cui i ragazzini, sia delle medie che delle superiori, si ritrovano a fumare sigarette di nascosto dai propri genitori.

La mia scuola si trova a cinque minuti da lì, dopo aver superato il negozietto che in estate vende tazzine tipiche del luogo e superata la pizzeria in cui mi fermo dopo le lezioni, al lato sinistro della strada c'è una grande chiesa in stile gotico, il duomo.

Rigiro a sinistra, questa volta un vicoletto buio privo di lampioni, se non fai attenzione rischi di cadere, le strade non sono delle migliori in questa vecchia città.

7:36.

La mia scuola era un carcere, nel vero senso della parola.

Fino al 1970 studenti e detenuti condividevano la stessa struttura, al piano superiore c'erano gli studenti ed al piano inferiore, dove ora c'è la mia classe, vi era una cella.

La professoressa Dumond ci ha raccontato che in questa scuola il cortile in cui adesso ci ritroviamo nell'intervallo era il punto d'incontro tra studenti e detenuti che scambiavano sigarette per dei compiti di disegno.

7:40.

Mi sono distratta, di nuovo.

Tra 3 minuti passa l'autobus e tra me e lui c'è un ettaro di giardino ricoperto di fango.

Meraviglioso.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 14, 2017 ⏰

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