C'è angolo di mondo in cui io...

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...continuo a sognarmi, ed ogni sogno è seguito da un risveglio improvviso, col cuore in gola ed il fiatone. Sono io, con io mio fratellino per mano, eravamo ancora piccoli, io avevo 11 anni e lui solo 5, eravamo arrivati da poco al campo di concentramento di Auschwitz 1, i nostri genitori ci dissero che era per lavoro.
Io ero un bambino abbastanza sensibile, molto affezionato alla famiglia.
Eravamo divisi in due gruppi,io con il mio fratellino e mia mandre incinta, in uno e mio padre in un'altro. A lui detti solo un bacio sulla guancia prima di dividerci, perchè ero convinto che ci saremmo rivisti più tardi. Ci misero in un cortile ed il mio fratellino e mia madre si divisero da me, lei non era molto convinta di tutto ciò, di lasciarmi lì, solo, le si leggeva in faccia e prima di andarsene mi disse: "Tesoro a dopo!" e mi diede un dolce e tenero bacio sulla fronte, feci un lieve sorriso per rassicurarla e dopo salutai il mio fratellino, con la mano però, odiava gli abbracci.
Dopo iniziai a piangere, ormai solo, con centinaia di sconosciuti che mi guardavano impassibili.
Dopo un po' ritornai in una fila, e mi marchiaronoun numero sul braccio, d'ora in avanti non sarò mai più Samuel, un bambino di 11 anni, ma solo un numero, un semplice ed insignificante numero, niente di più tutto di meno, solo un numero fra tanti altri, il 7843.
Mi faceva male il tatuaggio e iniziai di nuovo a piangere, avevo paura, una paura che non pensavo si potesse mai provare, mi sentivo bruciare la gola dai singhiozzi; ed ad un certo punto... SCHIOCK! uno schiaffo da una guardia, pensavano avrei smesso così, invece no, mi dovetti mordere le labbra per non piangere, era un incubo.
Per la sera ci dettero una stanza, a me ed altri ragazzi. Quella notte non dormii. Aspettavo la mia famiglia che tornasse da me, per tornare a casa tutti insieme; però non arrivò nessuno, iniziai a piangere un'altra volta.
Il giorno dopo, la mattina, per cercare le latrine mi persi, e finii in una piazza, con uno strano muro grigio ed una guardia che puntava il fucile verso un uomo con il volto familiare, quindi mi avvicinai, non credevo ai miei occhi; era mio padre, ero felicissimo, lo chiamai, ma il mio grido venne subito soffocato dalla cartuccia uscita dalla canna del fucile della guardia. Mi sentii crollare, era straziante sentire tutto quel dolore che mangiava dentro, ormai anche l'ultimo grammo di speranza di rivedere la mia famiglia se n'era andato.
Così finisce l'incubo; ed ogni santa volta che faccio questo sogno mi sveglio sudato e spaventato, con le stesse identiche sensazioni che provai quel giorno. Tutto questo continua a tormentarmi dopo quasi cinquant'anni.


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