Unaltro anno, un' altra estate, ancora Alassio. Sole, mare, amici,feste, serate in discoteca come qualsiasi ventenne. Avevo atteso perun anno intero quelle vacanze, il profumo del mare e della salsedinesulla pelle, memore delle estati da adolescente quando i mesisembravano scorrere troppo velocemente. Avevo vent'anni, nel giro diqualche settimana ne avrei compiuti ventuno, dividevo la mia vita trale lezioni all'università e qualche articolo di giornale su unquotidiano piemontese quasi sconosciuto in attesa che qualche nomeimportante del giornalismo mi notasse. Quel mese ad Alassio era perme la liberazione da qualsiasi forma di stress, un po' di meritatoriposo, il luogo dove poter dare sfogo a quell'animo adolescente chealbergava ancora in me. Ero stanca di sentire parlare costantementedi lavoro, economia, università, avrei voluto godermi un mese divacanze come se nulla fosse cambiato rispetto a qualche anno prima.Ad Alassio tutto era come allora, perfettamente immutato: ilsolito bagnino Mario, il gelataio della piazza e lo storico baretto.Anche il gruppo di amici, per lo più piemontesi e lombardi, neglianni non era variato di molto, le stesse facce da più di vent'anni.Dall'esterno avrei pensato ad Alassio come ad una macchina del tempoche permette alle cose e alle persone di non cambiare mai, masoltanto pochi giorni dopo il mio arrivo mi resi conto che la miapaura più grande si era avverata. Per quanto il luogo non fossecambiato, compresi quegli orrendi lettini di legno color ocra cheabbellivano la spiaggia da anni, eravamo noi giovani a non essere piùgli stessi. Il bello e tenebroso Matteo, il primo a calpestare quellasabbia come aveva spesso ricordare, allora così presente inspiaggia, si vedeva poco o nulla, l'unico ad avere sue notizie era ilfratello, Giacomo. Elena, che da bambina non era mai stata granchéestroversa, parlava ancora meno e leggeva di più, sembrava animarsial solo nome del fidanzato storico, lo stesso invisibile Matteo. Perultimo, c'era il mio fidanzato, Paolo. Anni di pseudo corteggiamentie conversazioni telefoniche notturne mi avevano finalmente vinto mala nostra relazione si poteva difficilmente definire tale: nientesmancerie, baci o paroline dolci sussurrate su un letto condiviso, unabbraccio freddo una volta ogni tanto quando entrambi sentivamo unacarenza affettiva era più che sufficiente.
Paoloera pressoché un bambino occupato per il trenta per cento del suotempo a giocare e il restante settanta a mangiare, nulla di piùnulla di meno. Nessun lavoro, pochi e saltuari studi in una scuolaprivata di provincia, e l'aria perennemente annoiata che non gliconsentiva di interpretare gli sguardi sempre più esasperati deisuoi compagni di giochi e scorribande. Pur avendo più di vent'annisembrava avere le capacità cognitive di un bambino di sette, ottoanni al massimo
Mivoltai a guardarlo, sostava vicino alla riva imbracciando un fuciled'acqua carico, incurante delle occhiate confuse dei passanti,minacciava Giacomo e Christian, il fratello di Elena, di colpirli senon gli avessero rivelato dove avevano nascosto il pacchetto dipatatine appena comprato. Le facce di Giacomo e Christianraccontavano molto di più di quanto non osassero confessargli tantoche per più di un attimo provai pena per loro, decisi di intervenirequando una passante poco entusiasta si lamentò con il bagnino pergli schizzi d'acqua gelata ricevuti.
-Paolo!Smettila stai infastidendo i passanti, se mettessi la testa nellecose che fai sapresti che le patatine sono in cabina.- Urlai perfarmi sentire dal lettino su cui ero intenta a leggere un libro suimessaggi subliminali nelle canzoni, un acquisto di appena cinque euroche non immaginavo potesse rivelarsi tanto interessante.
-Ragazzibasta, avete infastidito la mia ragazza, siete contenti?- Abbandonaiqualsiasi speranza e incrociando lo sguardo di Valerio, il nostrobagnino, mi resi conto che il resto della compagnia aveva già persole speranze da anni.
Sorrisi,quasi scusandomi, a Christian che mi osservava con la confusionedipinta sul volto e gli indicai che era meglio lasciarlo perdere.Paolo si allontanò dalla riva e venne a sedersi accanto a mebuttandosi con noncuranza sul lettino, bagnando l'asciugamani dispugna e scrollando i lunghi capelli scuri e riccioluti come un canebagnato.
Loosservai in attesa che si scusasse, ma ancora una volta preferì farfinta di nulla e iniziò a disegnare cerchi sulla sabbia, un bronciofanciullesco che mi invitava a stare il più lontano possibile.
Avolte mi sentivo soffocare dalla sua presenza, come se fossi stataavvolta da una bolla di fumo così densa da impedirmi da trovare unavia d'uscita. La verità è che sapevo benissimo come liberarmene mane avevo paura, troppa paura; temevo di ricadere in un turbine disensazioni che mi avevano avvolta per troppo tempo e di cui alla finenon mi ero mai liberata. Non sapevo ancora che, in un mondo onell'altro, quelle sensazioni sarebbe tornate a tormentarmi.
Mialzai scostando il corpo di Paolo dal mio e mi stiracchiai.
-Dovevai amore?- mi domandò più per il fastidio di essere stato spostatoche per interesse.
-Vadoa fare due passi al molo, dicono che questa sia l'ora più bella.-Pregai che non si offrisse di accompagnarmi, parve pensarci perqualche secondo ma il commento di poco prima era ancora chiaro nellasua mente così scrollò le spalle e tornò ai suoi disegni senzarispondermi, meglio così.
Camminaresulla sabbia a piedi nudi mi piaceva e mi rilassava, sentire ilprofumo di salsedine con in sottofondo i versi dei gabbiani era ilmio concetto di libertà, quella agognata per un intero anno difreddo, nebbia e pioggia. Mi resi conto di aver dimenticato ilcellulare sul lettino ma il pensiero di dover incontrare ancora Paolomi fece desistere dal tornare indietro. Il molo nel tardo pomeriggiodei primi di agosto era all'incirca deserto se non per qualchepescatore accompagnato dalla sua fedele canna da pesca o adolescentiin cerca del brivido di un tuffo, la mia panchina preferita direzione"isola Gallinara" era libera.
Misedetti incrociando le gambe nude sul legno ancora caldo e chiusi gliocchi concedendomi per qualche secondo di assaporare i più dolci deiricordi. Un'Alessandra bambina, quel delfino gonfiabile più grandedi me che trascinavo sulla riva del mare nonostante non fossi neanchecapace di stare a galla da sola, il primo bacio scambiato su quellastessa panchina in una sera di pioggia, lento e incerto ma sospesonel tempo per dare l'illusione che potesse durare per sempre. Ciavevo creduto, creduto davvero, che quella storia a cui avevo donatome stessa, le mie prime esperienze, i primi sentimenti veri, durassein eterno. Ero una bambina e in confronto a me lui era così maturo,cinque anni ci separavano, un abisso negli anni dell'adolescenzaquando persino pochi mesi possono fare la differenza; le sue labbraerano mature, già assaporate da un'altra bocca, le sue guance un po'ispide erano già state levigate da altre mani eppure a lui nonsembrava importare o almeno era quello che mi era parso di leggere inun paio di profondi e scuri occhi color cioccolato. Un movimentobrusco contro le sbarre di metallo mi destò, riaprii gli occhi discatto convinta di dover rispondere alle domande di qualche turistama tentennai non appena incrociai due occhi così simili a quelli delricordo.
-Tuttasola al molo, Alessandrina? Come mai non ti sei portata dietro laguardia del corpo? Si potrebbero fare incontri pericolosi...imalfattori sono sempre dietro l'angolo.- Inghiottii a vuoto, quasicome se avessi scordato come respirare correttamente. Era la primavolta che lo vedevo, almeno quell'estate, e potevo affermare concertezza che non fosse cambiato di una virgola, stesso sguardo,stesso tono sarcastico e prepotente di chi credere di essere miglioredegli altri, una spanna superiore a tutti, ma che in realtà non osaguardarsi allo specchio.
-Tiriferisci a te stesso, Matteo? Chissà perché non avrei problemi adimmaginarti come tale- risposi distogliendo lo sguardo dagli occhiche vedevo brillare di luce ingannatrice, rispondere al fuoco con ilfuoco, mi era sempre riuscito bene.
-Lasimpatia è una dote di te che ho sempre apprezzato- ribatté con unsorriso impertinente, prima di continuare questa volta con piùserietà. -Mi stupisce davvero vederti qui, insomma, mi era sembratodi capire che non fossi un'usuale frequentatrice del molo. È un annoche non ci vediamo-.
-Nonper colpa mia, sei tu che non sei più venuto in spiaggia, io non misono mai mossa. Sai com'è il detto... "stessa spiaggia stessomare"- spostai lo sguardo verso la distesa blu, incapace direggere ancora le due distese marroni per paura che leggesse qualcosadi troppo nei miei occhi. In quei pochi secondi in cui mi era statoconcesso osservarlo avevo notato una voce se possibile più profondae mascolina, le braccia, pur non essendo mai state esili, sembravanoessere state sviluppate con duri allenamenti in palestra. Matteoappoggiò la canna da pesca al suolo asciugandosi le mani sul costumeda bagno prima di prendere posto sulla panchina accanto a me.
-Elenami ha accennato qualcosa , sì. Mi ha detto che senza di me lacompagnia è una noia mortale, concordi?- faticavo a seguire laconversazione, il suo profumo era così inebriante e persistente, lostesso di quando era poco più che un adolescente, in grado disuscitare un fiume di ricordi difficili da arginare. Impiegai qualchesecondo prima di rispondergli.
-Siamocambiati Matteo, cresciuti. E' ovvio che non ci mettiamo più a farei gavettoni come una volta.-
-Fossiin te domani preparerei dei palloncini, tanto ci sei abituata, no? Iltuo fidanzato deve averne una casa piena considerata la sua etàmentale-. Lo guardai confusa, non capendo nell'immediato l'illusione,mi soffermai sul sopracciglio destro alzato provocatoriamente ecompresi spalancando gli occhi. Qualcosa mi diceva che di lì a pocosarebbero iniziati i guai ma preferii non ascoltare quella vocerazionale così simile a quella di mia madre, erano trascorsi cinqueanni, ero guarita. -Quest'anno si pesca ben poco e non ha sensoperdere tempo. Potrei passare per una visitina e chissà, magari mifermo più a lungo.-
-Faicome vuoi - risposi controllando la voce un po' rauca e tremolante.-Ma non ti aspettare che ti accolgano tutti a braccia aperte, sonofiniti i tempi in cui eri la star della spiaggia- incrociai lebraccia al petto come per difendermi dalla sua posa altera. Pensai aValerio, a quanto poco stimasse Matteo come persona e alla suaespressione nel caso in cui se lo fosse trovato davanti. Negli ultimianni la presenza di Matteo in spiaggia voleva soltanto direguai.
-Dici?Io non ne sono così sicuro. Mi sembra di ricordare che senza di meil divertimento sia finito, insomma, non vi parlate nemmeno più. Chestupido, dimenticavo che ormai sei una donna impegnata-. Non risposialla provocazione, continuai a fissare la Gallinara, così lachiamavano i vacanzieri storici, in attesa che se ne andasse. La suapresenza mi impediva di assaporare a pieni polmoni il mio angolo diparadiso.
-Tiricordavo più loquace ma non importa, ti lascio ai tuoi pensieri, houna ragazza da portare a cena fuori stasera e non vorrei fare tardi.Ci si vede.- Recuperò l'amo e la cassettina in plastica, senzanemmeno voltarsi una volta, si allontanò a passo cadenzato ma pernulla frettoloso lasciandomi sola con più pensieri di quanti non neavessi prima di accomodarmi.
Osservaila sua schiena nuda e abbronzata da lontano, una schiena checonoscevo ancora a memoria, che se solo ne fossi stata capace nonavrei avuto problemi a disegnare ad occhi chiusi. Per una frazione disecondo non riuscii a reprimere il desiderio di essere Elena, almenoper una sera. Mi sarebbe piaciuto avere un ragazzo con cuicondividere i miei pensieri, le mie preoccupazioni, con cuiconfrontarmi davanti ad un bicchiere di vino. Invece erano anni chenon uscivo a cena con il mio ragazzo se non per un panino untodavanti allo stadio prima di una partita, niente più candele o bacial limite della decenza per un bicchiere di troppo. Eppure, anche seper un periodo così breve da sembrare soltanto un sogno, avevo avutola mia dose di dolcezza e passione, mi ero seduta a un tavolo con unacandela e avevo concluso la serata con baci infuocati. L'avevoprovato, gustato, prima che mi venisse tolto senza che avessi lapossibilità di lottare e sfoderare gli artigli e a me non restòaltro che ricucire le ferite del mio cuore in attesa che qualcunoriuscisse a ricomporlo. Mi diedi un pizzicotto sul braccio, forte,per svegliarmi dallo stato di trans in cui ero caduta.
Miincamminai verso lo stabilimento, un nuovo desiderio di solitudine siagitava nel mio cuore, sentivo contemporaneamente l'esigenza dipensare e il bisogno di spegnere quella voce petulante e fastidiosache non aveva smesso nemmeno per un'istante di tormentarmi. Neancheil suono dei gabbiani, fino a qualche minuto prima così confortante,fu in grado di oscurarla.
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Fragili come castelli di sabbia
ChickLitAlessandra è un'abitudinaria, il mese di agosto coincide da almeno un decennio con la piccola Alassio. Ma quell'anno qualcosa di diverso appare sin da subito, con i tormentoni radiofonici che le rimbombano nelle orecchie e nel "Budello", un ricordo...