"tu non eri come gli altri."

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© petrovxfire, tutti i diritti riservati

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dedicato a Iwasnotme














Sin da piccoli, i nostri genitori ci avevano insegnato a chiedere scusa quando agivamo nei modi sbagliati, quando ci rendevamo conto di aver commesso un errore, ma, crescendo, avevamo anche imparato ad essere orgogliosi fino al midollo. Ed io lo ero sempre stata fino a quel giorno...
Spensi il motore dell'auto e scesi da essa per fare il mio ingresso nel cimitero, intenzionata finalmente a farti visita. Cercai la tua lapide, girovagando senza alcuna idea di dove tu ti potessi trovare; di dove il tuo corpo si potesse trovare, e quando i miei occhi catturarono il tuo nome e cognome incisi su quel pezzo di roccia, accompagnati da buon figlio e amico, parole che però non sintetizzavano tutta la luce che emanavi ogni qualvolta che sorridevi, mi si formò un groppo alla gola. Mi inginocchiai e provai a rimanere forte, a non piangere, ma fallii miseramente. Divenni un acquazzone e ti chiesi venia più di dieci volte. Se qualcuno m'avesse vista, avrebbe pensato che fossi una tua parente stretta o, addirittura, la tua ragazza. Forse mi sbagliavo, forse non avrebbero pensato a niente e avrebbero provato compassione. Forse dovrei smetterla di preoccuparmi di quello che penserebbe la gente, proprio come mi consigliavi tu.

Afferrai la scatola che portai con me, all'interno della quale avevo custodito tutti i fiori che mi regalasti, la maggior parte dei quali ormai secca. Sforzai un sorriso al ricordo di te che ti presentavi ogni mattina scolastica con un fiore per me. Molti ti definivano patetico e non si facevano problemi ad urlartelo, ma la risposta che davi, era quella che mi colpiva sempre e di più. Si chiama cavalleria, parola che sicuramente non conosci. Non te ne vergognavi e ciò era una delle qualità che più amavo di te.
Mi portasti margherite alle scuole elementari, rose alle scuole medie e mazzi di chissà quanti tipi di fiori alle scuole superiori. Mi chiedesti il perché non ti apprezzassi, ma io lo facevo. Eccome se lo facevo. Ma ero solo una stupida ragazza viziata a quell'epoca, cui uniche preoccupazioni erano quelle di avere il trucco e i capelli a posti, e non capivo. Non capivo cosa mi stessi perdendo. Quant'ero testarda!
T'amai, ma preferii tenere per me quell'amore ché tu non eri come gli altri; eri quel tipo di ragazzo che il genere femminile pensava si fosse estinto. E ne ebbi paura. Paura di non essere abbastanza per un ragazzo così perfetto tale e quale a te.

Mi portasti un tarassaco quel giorno e mi dicesti che quello eri tu. All'inizio non capii e ti domandai il perché senza ricevere una risposta. Non mi sorridesti com'eri solito fare, no. Non lo facesti e sentii, dentro di me, che qualcosa non quadrava. Eri pallido con gli occhi gonfi e qualche traccia di lacrima ancora bagnava le tue gote, ma non volevo problemi nella mia vita o intromettermi in qualcosa che avrebbe sconvolto la mia quotidianità. Così commisi l'errore più grande della mia vita: ti evitai più del solito e tu agisti allo stesso modo, ma più i giorni passavano, più parevi debole. Non avevo abbastanza coraggio per venire da te e abbracciarti come meglio meritavi, e, giuro, non mi capacitavo ancora del fatto che trovassi in me qualcosa di bello. O se solo potessi tornare indietro nel tempo, mi comporterei differentemente perché se l'avessi fatto probabilmente saresti ancora qui e sarebbe potuto esserci un noi, probabilmente non avresti preso tutte quelle droghe per cercare di dimenticarmi e probabilmente non saresti morto per overdose.
Ma non é possibile e tutto ciò che mi resta da fare é lasciarti andare. Solo adesso ho compreso il perché del tarassaco; il fiore che si perde quando il vento lo incontra. Tu il fiore, io il vento.

 Tu il fiore, io il vento

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