La Crisi

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Far funzionare un incantesimo è la cosa più difficile del mondo. Soprattutto quando non sei un mago, sei solo una persona normale che, distrutta dalla vita, non sapendo più dove sbattere la testa, tenti di moltiplicare i pochi soldi che possiedi picchiandoci contro un ramo di sambuco strappato dalla pianta del tuo vicino. Questo era stata l’ultima follia di Giovanni, giovane programmatore rimasto senza lavoro. E non solo si era umiliato in pubblico quando, ubriaco al bar sotto casa, ha tentato di moltiplicare i soldi nel suo portafoglio, ma è stato arrestato e trattenuto una notte in cella per accertamenti da un agente in borghese che stava seguendo un noto spacciatore locale e aveva creduto di aver trovato uno dei suoi principali acquirenti. Non è che la vita per lui sia sempre stata così, una volta lavorava a Torino come programmatore, con una ragazza che lo amava e i suo padre che lo guardava con orgoglio. Poi perse il lavoro. L’azienda aveva dovuto fare un taglio del personale per rientrare nella previsione di bilancio, e lui era stato uno dei fortunati. Non riuscì più a trovare lavoro. Suo padre fu portato via dal cancro, la sua ragazza non si fece più viva, fu costretto a vendere la casa e andare a vivere in un monolocale in un paesino sperduto nella provincia di Cuneo.
Nella piazza del paese c’era un bar dove Giovanni si recava a passare la giornata. Aveva spedito il suo curriculum a decine di aziende diverse, ma non aveva mai ricevuto risposta. Per ora riusciva a sopravvivere grazie al sussidio di disoccupazione, ma aveva il presentimento che il mese prossimo gli avrebbero tolto pure quello. Di solito passava le sue giornate con Mario, uomo divorziato che non vedeva da anni i suoi due figli e che all’età di cinquantaquattro anni era stato lasciato a casa dalla ditta dove lavorava. A volte anche Claudia faceva loro compagnia. Era una donna delle pulizie  vedova e con figlio a carico, e si lamentava sempre che il suo stipendio durasse troppo poco, quando le parlavi appena aveva finito una delle sue innumerevoli giocate alla slot machine del bar. Poi al piccolo gruppo mal assortito si era aggiunto recentemente Andrea. La sua storia, forse, è la più triste di tutte. Era un imprenditore  di circa quarant’anni che gestiva una piccola ditta locale, con famiglia felice, casa con giardino e tutto il resto. Poi, da un giorno all’altro si era trovato sul lastrico grazie a quello che i politici chiamavano “Decreto Salvabanche”. In poco tempo aveva perso tutto, e il tempo che non passava tentando o minacciando il suicidio lo passava al bar in compagnia della triste brigata.
In un fresco pomeriggio di primavera, però, qualcosa si mosse nelle loro tristi e immobili vite. Tutti avevano seri dubbi sulla loro possibilità di arrivare a fine mese, e Andrea minacciava ancora di buttarsi dal cavalcavia della vicina autostrada. Andrea non li preoccupava, dato che non era mai neanche arrivato a graffiarsi un’unghia durante i suoi tentativi di suicidio, che finivano spesso con i due poliziotti del paese vicino che portavano via Andrea in lacrime dalla cima del cavalcavia. Però i soldi erano un problema serio. E Giovanni, tutto a un tratto, ebbe una delle sue idee geniali, che non gli venivano fin dai tempi delle superiori. Il caso vuole che nella piazza del paese, dove erano concentrate tutte le attività commerciali del centro abitato, sorgesse una piccola filiale di una banca locale.  Nessuno dei quattro aveva i suoi risparmi lì. E così Giovanni, prima fissando la banca come se avesse appena visto la Madonna prelevare 2500€ dal bancomat, e poi fissando i suoi compagni di sventura uno per uno, tradusse il suo perverso e disperato pensiero in queste testuali parole pronunciate con una voce appena udibile:<<E se rapinassimo la banca qui di fronte?>>
Meno di una settimana dopo lui e gli altri erano sul vecchio furgone di Andrea, diretti alla banca. Il piano era semplice, ispirato alle rapine che si vedevano spesso nei film americani. Andrea, Giovanni e Claudia sarebbero entrati in banca mascherati e Andrea avrebbe puntato il vecchio fucile da caccia contro la ragazza che serviva i clienti, mentre Claudia tentava di trapanare il retro del bancomat e Giovanni avrebbe tenuto d’occhio gli ostaggi. Una volta avuti i soldi, sarebbero usciti e una volta scappati col furgone guidato da Mario sarebbero scappati fuori paese e una volta nascosto il furgone in un anfratto nel bosco vicino al paese si sarebbero separati e sarebbero tornati a casa coi soldi. <<Ok, siamo arrivati. Buona fortuna. Io vi aspetto qui.>> disse Mario, che li guardava dall’abitacolo con in testa una maschera di Obama. <<Ragazzi, tutti pronti?>> Giovanni era il “capo” della banda di ladri per caso, e indossava una maschera di Berlusconi <<Non vedo l’ora di presentarmi al bar  con tutte quelle monetine da giocare>> disse Claudia da dietro la sua maschera da Beppe Grillo. <<Andiamo>> la voce di Andrea era triste, molto simile a quella che aveva dopo un suicidio fallito, distorta dalla maschera di Renzi. <<Andiamo, allora>> Giovanni spalancò le porte del furgoncino e scese nella piazza deserta. Era mattina presto, e la banca aveva appena aperto e il furgone blindato se n’era appena andato dopo aver consegnato il suo prezioso carico alla banca, tutto in perfetto orario, come ogni giorno. Giovanni fece un segno con la mano per comunicare agli altri di entrare in banca. <<Il dado è tratto>> mormorò Giovanni a denti stretti tra sé e sé, mentre si lasciava la desolazione della piazza per entrare in banca stringendo in mano la sua pistola ad aria compressa.
<<Fermi tutti e faccia a terra, questa è ina rapina!>> sbraitò Andrea con il vecchio fucile in mano, puntandolo alla ragazza spaventata. <<Tira fuori i soldi che ti hanno appena consegnato, o ti faccio saltare la testa!>> ogni parola per la ragazza era un ordine, ma Andrea aveva una voce strana, quasi compiaciuta, sadica. Claudia si era messa a trapanare il bancomat mentre Giovanni teneva sotto tiro gli altri due commessi della banca con la sua pistola di plastica, sperando che nessuno si accorgesse che tutto quello che poteva fargli quell’arma erano un paio di lividi. Intanto la cassiera aveva riempito il borsone di Andrea con tutti i soldi della banca. <<Berlusca, la punta del trapano si è rotta. Sei un cretino! Non potevi pensarci prima che i bancomat sono fatti apposta per evitare questi “incidenti”?>> Giovanni era sicuro che la faccia di Claudia dietro la maschera fosse a metà tra l’arrabbiato e disperato <<Non preoccuparti, Grillo. Abbiamo i soldi. Ora andiamocene.>> incominciò a muoversi verso la porta come gli altri due, senza dare mai le spalle agli ostaggi. Fu in quel momento che successe qualcosa di inaspettato. Qualcosa che non aveva previsto. Sembrava tutto perfetto. E invece una voce al megafono che proveniva da fuori suggerì alla banda di uscire, perché erano circondati. Tutti e tre impallidirono dietro le maschere. Mario non rispondeva al walkie-talkie, dato che l’aveva abbandonato sul selciato della piazza quando era scappato al suono delle sirene della polizia. <<Non voglio morire in questo buco. Almeno non oggi. Molte volte ho immaginato la mia morte, ma sicuramente non voglio morire così; quindi ora, con calma, usciamo tutti con le mani sopra la testa.>>  Andrea stava puntando la canna del fucile alla testa di Giovanni, che era pietrificato dagli ultimi repentini eventi. Claudia incominciò ad apostrofare Andrea con parole che sarebbero state meglio in bocca a un camionista ubriaco, cercando di dissuaderlo nel fare quella follia. Poi, all’improvviso, rumore di vetri infranti, piccoli oggetti luccicanti che rotolavano per terra emettendo fumo, odore di sostanze chimiche, le urla di Claudia, uno sparo nel fumo. Prima di cadere a terra semicieco e svenire, il pensiero di Giovanni, credendo che fosse l’ultimo, andò alla sua vita passata, suo padre, il suo lavoro, la ragazza che non aveva mai smesso di amare nonostante tutto. Poi il buio.
Tre imputati in tribunale, avvocato difensore d’ufficio, rapina a mano armata, condanna. Mario, che era stato preso dalla polizia al confine con la Svizzera, fissava come in trance il giudice. Per Andrea, invece, il processo era stato rinviato dato che giaceva in un letto d’ospedale, ferito da un proiettile uscito dal suo fucile, la cui anima era a metà tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Mentre il giudice pronunciava la sentenza, gli occhi di Giovanni e quelli disperati di Claudia si incontrarono. Entrambi, specchio di anime spezzate, anime che avevano visto il paradiso, la grande bellezza, solo per poi essere tirate di peso giù nell’inferno, e come se la dannazione non bastasse, il ricordo del paradiso era ancora vivido in loro, il ricordo di ciò che erano state così vicine da toccare per un secondo e provare quanto fosse meraviglioso che le bruciava da dentro.
Questo è ciò che quattro persone messe in ginocchio dal fato hanno tentato di fare per cercare di non finire sbranati dagli squali che popolavano quel vasto mare profondo che è la vita. Forse, però, se Giovanni avesse acceso il suo pc  e controllato la mail che portava queste testuali parole: “La Sua richiesta di assunzione è stata accettata” la mattina della rapina, avrebbe agito diversamente. Forse. Perché la vita è come un treno che viaggia in una nebbia fittissima, e noi siamo i conducenti: esso va, inarrestabile, verso il capolinea, senza la possibilità di tornare indietro, ma è noi siamo gli unici che possono deviare il suo corso, inconsapevoli del suo nuovo percorso, ma pieni di speranze.

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