Flamenco

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Alma Carrasco era entrata nella mia incerta quotidianità senza fare rumore e senza nulla pretendere. Una comparsa niente male. Un' attrice non protagonista che sconosceva il mio assurdo punto di vista. Una visione rapida, una di quelle che vedi comparire alla destra o alla sinistra di quell'uomo che ritieni essere più fortunato di te, perché lei gli appartiene, e non puoi che maledire il tuo scarso tempismo (se avesse conosciuto me, prima di lui, non ci sarebbe stata nessuna storia, nessuna relazione che attribuisse a Miguel il ruolo che – invece, malauguratamente – interpretava con scioltezza, brillantemente). L'abitudine, tutta umana, di classificare i sentimenti attraverso il possesso, mi rendeva insopportabile l'esclusiva di Miguel su Alma.

La notte tra il venerdì e il sabato, dopo aver visto un film di Eduardo Casanova (giovane regista madrileno) sognai qualcosa. Intorno alle tre del mattino mi svegliai. Battito in aumento, sudore in discesa libera, l'immagine tipica del sonno bruscamente interrotto. Avevo l'abitudine di prendere appunti che riguardavano le mie esperienze oniriche, e di farlo in fretta, altrimenti avrei dimenticato subito. Presi il taccuino che lasciavo sempre nei pressi del mio letto. E iniziai a scrivere ciò che era rimasto vivo del mio viaggio nell'incoscienza.

Individui non identificati mi braccavano. Era buio. Non so dire dove mi trovassi, né che volto avessero i miei inseguitori, ai quali sfuggivo senza fare troppa fatica, armato di un qualche genere di potere sovrannaturale (velocità supersonica, o qualcosa di simile). Ricordo una strada ciottolosa, due alberi di pino e un treno che correva su un ponte che sembrava crollare da un momento all'altro. "Dobbiamo solo parlarti!" – urlava uno dei miei inseguitori. Non ricordo nulla di lui. Solo una voce sorda che continuava a ripetere la stessa cosa ("dobbiamo solo parlarti, non vogliamo farti del male!"). Io continuavo a scappare, ancora, e ancora. Fin quando l'ansia della fuga non mi riportò al mondo della veglia.

Passai la mattina del sabato a ridare senso al balcone del mio appartamento. I vasi di terracotta contenenti arbusti anneriti e senza vita, furono sostituiti da quattro vasi in eco plastica di una tinta imprecisata (qualcosa tendente al grigio) che avevo acquistato al prezzo di un euro e cinquanta cadauno presso un negozietto non lontano da casa. Riempii quasi fino all'orlo ognuno dei contenitori con terriccio di scarsa qualità, quello più a buon mercato e che acquistai nel medesimo negozietto di cui sopra, immerso nel quale lasciai navigare piante colorate. Una pianta per ogni vaso. Per ogni vaso un colore. Rosa, rosso, fucsia, e bianco. La mia premura, prima di ogni altra, fu quella di riportare il mio terrazzino allo splendore di un passato che non avevo conosciuto, ma che sentivo il bisogno di riportare in vita. Inferriate dipinte di fiori sgargianti salutavano l'ultimo arrivato, me, sulla graziosa Calle Santiago e su inferriate residenti di una Siviglia che riprendeva fiato, dopo tre giorni d'inferno soffiato dritto sulle anime, sostavano in modo ordinato. Piazzai in balcone un tavolo in legno grezzo e due sedie che pensai essere più che sufficienti a ospitare la compagnia che mi proponevo di creare in breve tempo. Sul tavolo un posacenere stile bar di terz'ordine, di quelli puntellati sulle estremità, laddove spegnere mozziconi di sigarette fumate in sequenza.

Poco per volta, dopo due mesi di piattume (interrotti dalla visione di Alma – dentro il suo abitino rosso - e dalla sua palla al piede, di nome Miguel), imparavo ad abbellire gli esterni della mia presenza in Andalusia. Un'amabile casetta incastonata tra altre amabili casette, su Calle Santiago; le piante sul terrazzino; l'assaggino di un sentimento che somigliava tanto all'amore; l'esame col mio vecchio passato a pieni voti (in realtà niente esame. Semmai la rimozione coatta di un passato scomodo); la ricerca di un mestiere qualunque, una fatica qualsiasi che potesse quietare l'anima in colpa per il mio fancazzismo. Erano i passi fatti e i quelli ancora da fare per camuffare il mio essere straniero, prima di cambiare mira e dirigermi altrove. All'epoca, come l'Arsenico Lupin contemporaneo che mi sentivo di essere, pensavo a Madrid quale mio prossimo colpo. Per intanto rimanevo a Siviglia e ornavo la mia vita come se per i successivi trent'anni si sarebbe dovuta svolgere in quella città. Che senso ha comprare vasi di fiori, se poi non puoi dargli la cura che serve a tutti gli esseri viventi? La mia presenza sul posto aveva una data di scadenza che non conoscevo, che non avevo ancora scelto e deciso. Se non fosse stato per il capriccio di strappare l'esclusiva (di Alma) a Miguel, sarei già stato via da quel luogo e da quel tempo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 08, 2017 ⏰

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