Childhood tears ;

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Era una bellissima giornata di primavera, una di quelle da segnare sul calendario, in mezzo a tutti gli altri giorni di pioggia.
Il sole splendeva intenso e scaldava la città sottostante, ormai completamente sveglia nel primo pomeriggio.
L'odore dell'erba si inoltrava a fatica nell'aria, calda, densa dell'umido dell'acqua caduta la sera prima.
I giochi del parco splendevano bollenti, lasciati in disuso momentaneamente.
Non c'erano bambini a giocarci. I bambini erano impegnati altrove.

Era una bellissima giornata di primavera, ma non per Jimin. Per lui quella giornata era da cancellare, o almeno per il momento.
Il sole splendeva sul gruppo di bambini che si era formato al centro del prato, uno solo tra loro a terra.
La sua pelle, fino a poco prima liscia e profumata, brillava di sudore e di sangue, che sgorgava da un labbro del piccolo. Rosso caldo come il cielo si mescolava al trasparente delle sue lacrime che scorrevano fino a sotto il mento, bagnando la maglia celeste chiara già leggermente sporca di terra.
Non era la prima volta che succedeva.
Non era la prima volta che Jimin voleva giocare con loro, ma tutto aveva sempre la stessa fine. Jimin non parlava e non reagiva, non diceva la sua. Non apriva bocca nemmeno quando qualcuno lo spingeva, lo faceva cadere e cominciava a picchiarlo.
Lui, purtroppo, non sapeva che quello che lo picchiava era solo l'ennesimo bambino che era geloso di lui.
Jimin era delicato, Jimin era gentile. Jimin non voleva fare male agli altri, ma erano gli altri che pensavano a far male a lui.
Così, anche stavolta subiva, la testa china, altre lacrime sgorgavano, la sua bocca che si apriva solo per singhiozzare, non per formare parole.

Jimin giocava sempre da parte, da solo, come se prevenisse già cosa sarebbe accaduto, ma non se ne andava bensì sapesse.
Anche Yoongi giocava a volte in compagnia, a volte solo, ma Yoongi non era come Jimin. Nessuno picchiava Yoongi, nessuno si metteva contro Yoongi. Nessuno alzava una mano: lui alzava solo muri contro gli altri. Non dava tempo agli altri di odiare, era lui a farlo prima. Odiava tutti, ma non Jimin.
Non sapeva come sentirsi verso di lui. Non sapeva bene nemmeno come si sentiva in quel momento mentre vedeva l'altro bambino così umiliato e rattrappito in mezzo a tutti, come un uccellino ferito in mezzo a un branco di gatti affamati. Lo vedeva bene, bensì fosse seduto in disparte a guardare la situazione.
Mani sporche che lo toccavano, sporche del suo sangue e di intenzioni cattive. Sporche solo perchè non erano quelle di Yoongi.
Tutto questo doveva finire. Doveva mettere una fine a quella serie di cattiverie.
Voleva rendere quella giornata di primavera bella anche per Jimin.

Mosse un passo avanti, infilandosi tra gli altri, le mani chiuse in pugni. Lo fecero passare: tutti pensavano che fosse anche lui contro la vittima, che andasse a picchiarlo come facevano gli altri, tra risate soddisfatte, malvagie nella loro giovinezza. Invece, fece l'opposto della loro immaginazione.
Si mise in piedi davanti a lui, le braccia leggermente aperte, come se cercasse di creare uno scudo col suo corpo. Era proprio quello che voleva fare. Voleva proteggerlo.

- Andate via. Basta. - disse con voce abbastanza sostenuta per farsi sentire da tutti, gli occhi dritti sul bambino con le mani sporche di sangue del ferito.
Non si riferiva solo a lui: voleva che tutti se ne andassero, che lasciassero Jimin solo, che non lo picchiassero più.
E così fecero, per due ragioni principali.
La prima, come detto, nessuno si metteva contro Yoongi. 
La seconda, poche volte Yoongi si era mosso volontariamente dalla parte di qualcuno, poche volte aveva alzato la voce.

Jimin non capiva cosa stava succedendo. La testa pulsava a causa del sole che picchiava forte sui suoi capelli neri, setosi, morbidi come la sua dolce anima. Aveva smesso di piangere dopo un unico singhiozzo forte più degli altri, uscito mentre alzava lo sguardo verso Yoongi, che ancora gli dava le spalle. Il sangue, a differenza delle lacrime, ancora scorreva sul suo viso, ricordandogli il dolore che proveniva bruciante dal labbro.
Appena Yoongi si girò, si limitò a guardarlo come faceva con il suo aggressore: gli occhi gonfi, la bocca tremante e schiusa senza parola, un'espressione di calmo terrore sul suo viso.
Fu Yoongi il primo a parlare.

- Ti hanno picchiato proprio forte. - dichiarò, esaminandolo. Non gli tese la mano: anche lui aveva paura di fargli male, di romperlo, di fargli uscire il sangue anche solo con un dito.

- No.. le mie labbra sono sempre così. - rispose il piccino a terra, la voce tremante, gli occhi distolti con cura altrove, in un misto di paura e imbarazzo.

Le sue labbra erano proprio belle, allora, pensò Yoongi. Erano belle anche mezze distrutte, sporche di sangue. Erano di un colore roseo, scuro, sfumato sugli angoli nel resto della carnagione.
Sembravano morbide, soffici proprio come Jimin. Soffici come il suo modo di fare, come l'erba su cui posava, apparendo ancora piu' piccolo di quanto effettivamente fosse.

Yoongi non sapeva come agire, adesso. Ora l'aveva salvato, nessuno l'avrebbe più picchiato. Il suo compito era finito, non era più un suo pensiero.
Fece per andarsene, il volto fiero girato, staccando gli occhi da quella piccola creatura sottostante. Ma fu proprio quella a farmarlo.
Due manine troppo minuscole rispetto all'età di chi le possedeva si erano attaccate alla sua maglia nera stellata, in una presa disperata.
Era Jimin che lo teneva, guardandolo con uno sguardo diverso, rinato, rincuorato, due stelle di speranza in mezzo a tutti quei segni di violenza.

- Vuoi giocare con me domani? - 

Dopotutto, Yoongi era un bambino bravo.
O almeno, lo era agli occhi di Jimin.

Teardrop ; YoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora