Albert, disteso sul divanetto rosso, si conformava ai peccati del luogo.
Una venere dormiente con la bocca viola e gli occhi neri.
Le dita affusolate stringevano una sigaretta consumata dalle ansie di qualcun altro, il filtro bagnato dal sudore di chissà chi. Riusciva ad avere una sigaretta senza nemmeno chiederla.
La mancia delle puttane.
Lì sdraiato, pensava al niente. L'esile torace scoperto, una distesa lattea di carne il cui unico fiore era il roseo capezzolo, un piercing il suo ornamento. Aveva gli occhi puntati sul soffitto, uno sguardo che trascendeva malinconia e nullità.
Tutti lo guardavano, lui non guardava nessuno.‹ Ehi Al, il tuo amico ti sta aspettando fuori. ›
Albert si alzò, la stanza gli girò intorno per qualche istante, chiuse gli occhi e infilò la sigaretta nella tasca dei pantaloni scuri. Incurante del suo aspetto trasandato si fiondò fuori dal locale, lasciandosi alle spalle gli squallidi muri del Dubs.L'odore dello sperma e il fiato degli estranei lo perseguitavano, ce li aveva addosso e li vestiva splendidamente. Troppo fragile per l'amore, troppo bello per la miseria, Albert aveva un fascino consumato dalle intemperie della vita, della malavita, della non vita.
David lo stava aspettando fuori, immobile sul marciapiede scuro e immacolato nella sua nuova camicia blu. Il colletto leggermente disfatto e i primi bottoni slacciati gli donavano un'aria disordinata che incrementava la sua attrattiva, ma senza farlo sembrare volgare.
Non poteva essere volgare, non ci riusciva. Nemmeno se si impegnava.
Un candido sorriso incurvava le sue labbra, lasciando intravedere una fila di perfetti denti bianchi. Anche gli occhi sorridevano. Erano piccoli, ma erano in grado di contenere una gioia immensa. Strariparono di gioia nel vedere Albert raggiungerlo, gioia che mutò presto in orrore quando il suo sguardo cadde sui pantaloni slacciati del ragazzo. Notò anche il suo petto scoperto, i capelli arruffati, l'espressione assente. Più assente del solito.
‹ Vaffanculo, Al. Che cazzo hai fatto? › nemmeno così riusciva a risultare volgare.
‹ Vaffanculo tu. Cosa vuoi? › Albert non urlava, era troppo stanco per farlo. Troppo vuoto.
‹ Perchè, Albert ? Avevi detto che saresti tornato qui solo a prendere la tua roba -- perchè lo hai fatto di nuovo ? E io come un'idiota ho creduto di poterti portare via con me. ›‹ Non sei idiota, è solo che- ›
‹ E' solo che cosa? ›
‹ Solo non puoi capire. ›
‹ Non posso capire? E cosa c'è da capire? Avanti, spiegamelo! ›‹ Puoi smetterla di urlare? Ora devo tornare den-- › Albert non riucì a terminare la frase che David riprese a gridare, sconvolto. Alcuni ragazzi si affacciarono dal Dubs, le sigarette accese tra le dita e l'aria annoiata. Scene come quella erano all'ordine del giorno da quelle parti, ma erano sempre un buon diversivo per riempire il vuoto tra un cliente e l'altro.
‹ Quanti ti sei scopato, eh? Anzi, quanti cazzi hai preso in culo stasera, Albert? Ti è piaciuto, scommetto. Perchè era questo il tuo piano fin dall'inizio. ›
‹ Ma di che piano stai parlando, stai farneticando. Smettila. › Albert continuò ad essere impassibile, perdere la calma era qualcosa a lui sconosciuto. Non amava discutere, non amava attirare gli sguardi degli altri su di lui, anche se ci aveva fatto l'abitudine. Ma erano sguardi diversi da quelli che riceveva di solito e quindi non li tollerava: ora non era ambito, non era oggetto di desiderio, era solo distrazione e fenomeno.
Lo disgustava quella situazione. Si disgustava.‹ Perchè a te piace, Albert. Ti piace essere fottuto come una sporca puttana. › continuò David : era fuori di sè, disperato. Erano parole dure dettate da chi aveva paura di perdere. Figlie di chi stava perdendo qualcuno e non sapeva come evitarlo. Si sentiva impotente, era arrabbiato, ferito e innamorato. Perdutamente innamorato di quel ragazzino in piedi di fronte a lui.
‹ Smettila, smettila. ›
‹ Non ti preoccupare, non sono certo venuto qui a rubare il tuo tempo. Ti pago. Perchè ti fai pagare, giusto? Quanto vali? Quanto vale la tua bocca? ›
‹ Ho detto smettila, basta. › la voce di Albert era ferma e supplichevole al contempo.‹ Ho capito. Lo hai preso in gola fino alle lacrime e sei stanco. E' per questo che hai gli occhi lucidi? ›
‹ Smettila. › e gli occhi di Albert erano davvero lucidi, ma non per quel motivo. Comprendeva la rabbia di David. Nonostante le parole volgari che gli aveva vomitato addosso, era ancora candido ai suoi occhi. Un angelo. Così lontano e irraggiungibile -- no. Era vicino, doveva solo allungare la mano, stringere la sua e andare via con lui, ma non lo fece. Rimase immobile.
Anche David aveva capito. Il suo sguardo si fece distante, ma non di quella distanza fredda. Era una distanza penetrante, capace di inchiodarti al terreno. Di chi voleva salvare qualcuno di insalvabile, di chi sapeva di combattere una guerra persa, ma che continuava a combattere perchè oltre a quello non aveva nient'altro. E rimase immobile anche lui, sciogliendosi con il grigiore della città. Un fiocco di neve nel deserto: non ce l'avrebbe fatta.
‹ Basta, andiamo. Dai sali in macchina, andiamo via. Non mi importa se devi prendere la tua roba o avvisare il tuo capo, andiamo. › David era paonazzo dalla rabbia, delirante. Afferrò il braccio di Albert e lo tirò verso l'auto, ma Albert si oppose, silenzioso.
‹ Questo posto ti ha rovinato, è diventato una droga per te, è ora di dirgli addio. Avanti, andiamo! › e gli occhi dei passanti scivolarono di nuovo su di loro. No, non scivolavano via : erano insistenti, indifferenti e asfissianti. Albert se li sentiva addosso e sentiva i sospiri dei colleghi sull'uscio ad osservare la scena. Poi sentì una voce : Blaire.
‹ Che cazzo succede qui? Questo non è un circo e tu, vieni dentro. ›
Blaire era il proprietario del Dubs, un uomo sulla quarantina, slanciato dai bei capelli biondi e i denti rovinati dall'eroina. Era il loro protettore, salvatore e carnefice. Tutti lì dentro lo temevano e rispettavano come un padre : aveva raccolto ragazzini dalla strada e aveva dato loro dei vestiti, un letto, pasti caldi e un lavoro. La maggior parte di loro viveva al Dubs da anni e quella era diventata la loro vita. Vendevano i loro corpi fanciulleschi a chiunque desiderasse della fragile carne giovane, per di più uomini frustrati e inetti. Spesso però, vi erano anche padri di famiglia e altri ragazzi della loro età in cerca di qualche esperienza nuova, desiderosi di colmare il proprio vuoto con quello degli altri.
‹ Chi è sto coglione? Sta mettendo a disagio i clienti e attirando l'attenzione. Che se ne vada ora o lo sistemo io. › il tono di Blaire non ammetteva repliche e Albert lo sapeva bene. La sua mano iniziò a tremare, si scostò una ciocca scura dagli occhi e poggiò la mano sul petto di David, poi indietreggiò.
‹ Ora devi andartene, David. Ti prego, vattene. ›
‹ No, non me ne vado. Io me ne sto qui. Anzi, tu vieni con me e fanculo questo posto, io lo brucio. Sì, lo brucio questo fottuto posto. ›David raggiunse il cofano dell'auto e tirò fuori una tanica di benzina, che teneva come riserva in caso di emergenza. Era prudente e ben organizzato, in grado di far fronte a ogni avversità e superarla con successo. Ma non quando si trattava di Albert. Quando l'amore si mette in mezzo, tutto va a puttane. Letteralmente.
‹ David, sei impazzito? Vattene via. Non sai quello che stai facendo. › la voce di Albert era sommessa, atona. Sapeva di non poter fermare un fiume in piena. Infatti David non si fermò, iniziò a rovesciare la benzina sull'uscio del locale, la buttò sui divani dell'entrata, sul tappeto e nel fare tutto quello scempio urlava, disperato. Imprecava. Ma non era volgare, non riusciva ad esserlo.
‹ Ti rovino, criminale. Brucia tu e il tuo posto di merda. Gente! Questo uomo tiene segregati dei minorenni, è un drogato, un criminale! › e con la mano indicava Blaire.
No. Un fiocco di neve, di candida neve, non ce la fa nel deserto, non sopravvive.
Blaire sparì all'interno, riusciva a sentire la voce di David fin dal suo ufficio.
Ora era di nuovo fuori e le urla di David vennero sovrastate da uno sparo.
Poi, il silenzio.
I ragazzi che erano rimasti fuori sull'uscio ad osservare imperturbabili la scena, si asciugarono le lunghe gambe dalla benzina e tornarono dentro, annoiati. I passanti si dileguarono veloci, con un'improvvisa fretta. Sembravano quasi sconvolti, quasi soddisfatti : avrebbero avuto qualcosa da raccontare una volta rientrati a casa perchè anche una carcassa era un pasto succulento per gli avvoltoi.
Albert invece, restò immobile. Troppo stanco, troppo vuoto per reagire.
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Esprit d'escalier
General Fiction❛╱ Albert, disteso sul divanetto rosso, si conformava ai peccati del luogo. Una venere dormiente con la bocca viola e gli occhi neri. Le dita affusolate stringevano una sigaretta consumata dalle ansie di qualcun altro, il filtro bagnato dal sud...