1996 Settembre

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Mi trovavo sull'autobus di linea, quello che collega Torino con la prima periferia collinare. Il vecchio e ingombrante mezzo mi pareva poco adatto alle stradine strette ed eleganti del quartiere che si estende alle spalle della Gran Madre, ma nonostante la mia opinione continuava a circolarvi da parecchi anni. Il problema più immediato e preoccupante però al momento per me era un'altro. Come ci ero arrivata su quell'autobus? Mi sentivo vagamente confusa e intorpidita, come dopo aver dormito di giorno, ma se l'ultimo ricordo che avevo era quello di una città diversa, e su un mezzo di trasporto diverso, la cosa mi pareva preoccupante. Nemmeno i vestiti che portavo addosso erano quelli che mi sarei aspettata.

Sul sedile di fianco al mio era appoggiato uno zaino. Il mio vecchio zaino di scuola in effetti, anche se non ricordavo di averlo visto da molto tempo. Lo aprii per curiosità, e nella speranza di trovare qualche indizio che mi riportasse al presente. Dentro c'erano i miei libri di scuola. Normale, solo che anche quelli non li vedevo in giro da molto tempo.

Presi lo zaino, che era il mio almeno lo sapevo, era una delle poche certezze, e avanzai lungo il corridoio del pullmann. Ero stata seduta nella fila in fondo, come avevo fatto durante tutta la mia adolescenza.

Quando raggiunsi l'autista mi fermai al suo fianco e in attesa della fermata gli chiesi che giorno fosse. Non stavo capendo molto bene cosa stesse succedendo, ma in ogni caso ormai eravamo vicini alla Gran Madre e volevo mettere i piedi per terra nella speranza che mi aiutasse a pensare più chiaramente.

"Lunedì" mi rispose lui con candore.

"Numero?" Interrogai ancora, forse in modo un po' secco.

"23!" Rispose l'uomo senza nemmeno guardarmi.

Non ero abituata ad essere trattata in quel modo.

"23 di cosa?!" Insistetti molto seccata

"Ma di Settembre no! Del 1996, ma dove vivi?

Scesi dal mezzo, più confusa che arrabbiata. La risposta era assurda, e il suo atteggiamento nei miei confronti altrettanto.

Mi trovavo pochi isolati dietro la Gran Madre, immersa nel verde. Le fronde degli alberi ondeggiavano e fremevano nella brezza settembrina. Qualche passero a tratti cinguettava brevemente.

Camminai un pochino, guardandomi i piedi. Quelle scarpe... i lacci azzurri sulla tela bianca un poco ingrigita dall'uso.. non erano mie ma allo stesso tempo sembravano familiari.. Poi come un lampo ricordai. Erano le scarpe che portavo sempre quando andavo alle superiori, le mie preferite per molti anni, anche quando erano diventate talmente lise e consumate sulla punta da farmi sembrare quasi una barbona. Le osservai meglio, affascinata come mi sarei sentita di fronte all'originale di un quadro famoso.

Com'era possibile?

Un brivido improvviso corse lungo la mia schiena come se qualcosa di gelido mi avesse afferrata alle spalle. Sollevai lo sguardo bruscamente. Di fronte a me c'era la vetrina di una profumeria e due occhi mi fissavano spalancati e molto vicini. Sollevai una mano verso il vetro. La figura di fronte a me fece lo stesso. Fu a quel punto che iniziai ad urlare. Il grido era tanto profondo e improvviso che uscì strozzato, facendomi male alla gola e bloccandomi la respirazione.

Nella vetrina il mio riflesso restituiva la mia immagine, chiusi gli occhi e li riaprii più volte, era sempre lì. Mi toccai la faccia, i capelli. Troppo corti, anche tirandoli arrivavo a vedere solamente le punte. E poi erano troppo scuri..che fine avevano fatto i miei boccoli biondi? Erano rimasti dalla pettinatrice prima dei colpi di sole, prima delle maschere alla keratina, prima dello shatush così naturale sulle mie punte che avevo provato per la prima volta qualche settimana prima..

O per meglio dire, qualche anno dopo..

Ora c'erano solo capelli castani, un caschetto nè lungo nè corto forse fatto in casa.. su capelli nè lisci nè ricci un po' sporchi e spettinati.

Restavano solo i miei occhi, verdi come uno stagno verso la riva.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 13, 2014 ⏰

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