Black Mask

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1:05 AM. Stavo solo fumando l'ennesima sigaretta fuori dalla finestra del bagno, quando il mio sguardo captò lo specchio rotto in frantumi da uno dei miei frequenti scatti di ira. Non amavo specchiarmi, vedere la mia branda immagine, no, non mi amavo. Eppure quella notte qualcosa mi colpì. Non le cicatrici che segnavano il mio corpo, non il metallo che trapassava la mia pelle, non le mie occhiaie scure che mostravano la mia stanchezza, non il mio sguardo che rispecchiava ogni emozione che raramente riuscivo a provare. Non il mio corpo, l'unico soggetto degno di odio, quello che ho sempre detestato. Per la prima volta non feci minimamente caso a tutto questo. Notai qualcosa di diverso in me, scoprii una cosa che mi fece aprire gli occhi. Era una maschera. Restai qualche minuto a pensare mentre la sigaretta cadde liberandosi della cenere che, come le foglie d'autunno cadono svolazzando liberamente a terra, esse si posarono delicatamente sulla mia pelle così da donarmi un rapido brivido. Osservai quella folle immagine riflessa, e feci caso che non era una maschera comune. Non era come le solite maschere che la gente tende ad indossare per convenienza, per falsità o per fragilità, per nascondere le proprie emozioni. Non raffigurava un volto felice nascondendo l'immenso dolore. Si trattava di tutt'altro. Era una maschera nera. Ripensai al mio passato, ad ogni trauma, ogni dolore. Cercai di spiegarmi il motivo di quella presenza oscura e sconosciuta prima d'ora. Si aggrappò su di me delicatamente, quasi di nascosto per non farmi accorgere di nulla, per non captare alcun problema. All'inizio era sottile, quasi nulla, non creava dolore. Col passare del tempo si fece sempre più fitta, spessa, nera, resistente, pesante, struggente. Era difficile osservare la realtà che mi cincondava con essa, la rendeva oscura e distorta. Tutto sembrava più difficile, tetro e spaventoso. Si incollò sulla mia persona, non intendeva lasciarmi, ero in trappola. Mi rese apatica, era difficile provare emozioni se non delle immense ondate di panico e dolore che ogni tanto perforano la meschina maschera nera. All'inizio mi andava bene così, ero stanca di essere emotiva e sensibile, di lasciarmi trascinare dalle immense emozioni. Poi mi accorsi che di essere morta, vuota. Era come esistere, respirare a fatica e continuare a sopravvivere da spettatore in una vita che non ti appartiene, facendoti sentire eternamente sbagliata, un errore di battitura, uno straniero in questo tremendo pianeta. Semplicemente l'oblio, il vuoto regnava dietro quella meschina corazza che mi copriva il volto. Sentivo di stare in una stanza più piccola del mio stesso corpo, che ogni secondo si restringeva un po' di più, impedendomi di agire in qualsiasi maniera. Non andava bene, me ne accorsi e lo accettai. Provai a star meglio, ricordo di aver provato più volte a distruggerla, a liberarmene, a provare a vivere davvero. Ma era così difficile, non ero forte abbastanza da strappare quell'ammasso di tenebre solidificate, era troppo tardi, o almeno pensavo. L'ultimo tentativo fu quello di bruciarla, non resisteva al fuoco pur sembrando divenuta dalle fiamme dell'inferno. C'era solo una condizione, bruciando la maschera avrei bruciato il mio volto, la mia anima. Ma non ne potevo più, preferivo morire piuttosto che sopportare un'altro istante di malinconia e terrore. Così cominciai un lento e silenzioso suicidio. Stavo scomparendo e la maschera nera si dissolveva nel vuoto con me. In fin dei conti non sono uno zombie, non merito di vivere questa vita da morta.

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