"Senti il battito del mio cuore? Cerca di concentrarti su quello."
John appoggiò l'orecchio sul petto di Sherlock mentre lui gli accarezzava i capelli
"Vuoi parlarne?" chiese.
Lui rimase in silenzio.
"Va tutto bene, respira."
"Non riesco. Non ho più aria." Annaspò lui con il fiato corto.
"Dimmi cos'è successo, ti farà stare meglio." Gli diede un bacio sui capelli.
"Non lo so. Io ... non lo so. È stato solo un brutto momento; Sono andato in panico, suppongo."
"Non c'è nulla per cui andare in panico. Guarda." Gli prese il volto e lo costrinse a guardarlo negli occhi. "Respira e guardami".
Lui appoggiò le mani sulle sue che gli incorniciavano il volto e lo guardò. Il fiato era ancora corto, come se avesse appena finito una lunga corsa.
Poi distolse lo sguardo. "Cosa mi sta succedendo?" chiese, cercando di sottrarsi al suo tocco. Lui non lo lasciò e lo strinse al petto. "Ne so meno di te, John. Non sono un sensitivo. Ma se mi spieghi cosa stai provando, in due possiamo capirci di più, non credi?"
"Ero in camera da letto e, tutto ad un tratto, le pareti hanno iniziato a sembrarmi troppo strette. Non sapevo dove guardare, non sapevo se sedermi o rimanere in piedi. Da qualsiasi parte mi voltassi, non mettevo a fuoco nulla. Era come guardare nel vuoto. Cosa mi sta succedendo, Sherlock?"
Il detective lo aveva trovato così, che misurava la camera da letto con lunghi passi, si torceva le mani nervosamente e con il fiato corto, come se cercasse dell'aria a cui aggrapparsi, senza riuscirci.
"Respira. Ci sono io con te." Lo costrinse a guardarlo negli occhi appoggiando la sua fronte alla sua. Era più alto di lui, così lo forzò ad alzare la testa: "Metti a fuoco me, solo me. Prova con questo. Riesci?"
"Si"
"Ora respira profondamente e dammi la mano. Io sono qui, con te. Non vado da nessuna parte."
"Sherlock, sono pazzo?" gli occhi del dottore si inumidirono, ma continuò a tenerli fissi nei suoi. John strinse forte la mano del fidanzato, quasi ad assicurarsi che non sarebbe fuggito, dopo quella domanda. Se lo era chiesto tante volte, ma non lo aveva mai detto ad alta voce. "Sono pazzo? Sono ... dici ... dici che ho qualcosa che non va, che c'è qualcosa di rotto in me?" Sherlock sorrise, cercando di non pensare che vederlo così perso, avrebbe finito per far piangere anche lui. "No. C'è qualcosa che non va, e lo sai anche tu. Ma non sei tu. Tu non hai nulla che non va. Dobbiamo soltanto capire qual è il problema. E non sei tu." Ribadì Sherlock, con tutta la calma di cui era capace. "Non riesco. Niente funziona, niente mi aggiusta, niente risolve le cose." John riprese a respirare affannosamente. "Ehi, ehi, stai con me, ok? Ricordi? Il battito del mio cuore." Prese la mano del dottore e la appoggiò al suo petto, proprio sopra al suo cuore. "Senti? Stai con me." John sembro calmarsi, ma all'improvviso sgusciò dalle braccia del fidanzato e scoppiò a piangere. Sembrava un animale in gabbia, camminava freneticamente fino all'armadio che copriva la parete della loro stanza da letto per poi girarsi di scatto e dirigersi verso la finestra, come se non si sentisse mai al posto giusto al momento giusto. Sherlock stette semplicemente a guardarlo, se fosse scoppiato, forse, avrebbe potuto mettere insieme i pezzi dopo.
John singhiozzava con le mani che tremavano, nervosamente. Provò ad afferrare una penna, ma gli cadde dalle mani da tanto erano forti i tremiti. Afferrò il cuscino e soffocò dentro di esso un urlo. Sherlock non lo perse di vista neanche per un minuto; gli occhi del detective si erano inumiditi: non sopportava di vederlo divorato dal dolore senza poter fare niente per calmarlo.
Il dottore si sedette sul letto, ma si rialzò di scatto andando verso il muro con i pugni chiusi. Prese a pestare le nocche contro la parete ricoperta dalla carta da parati. Sherlock gli fu subito dietro per abbracciarlo, bloccandogli le braccia lungo il busto: non avrebbe permesso che si facesse altro male. Quando sembrò che John si fosse arreso, il detective lo lasciò e lo fece girare. John si accasciò, sfinito, sul pavimento con gli occhi rossi che guardavano davanti a sé come se non ci fosse proprio nulla da vedere. Sherlock si sedette di fronte a lui facendo in modo che le sue gambe si attorcigliassero ai suoi fianchi e allungando le sue oltre la schiena di John e lo strinse forte a sé. "Senti il battito del mio cuore? Sono qui. Ci sono anche io con te. Non devi affrontare tutto questo da solo."
"Tu non capisci" urlò John contro il suo petto.
"No" Sherlock mantenne la calma "Non capisco. Lo so. Ma sono qui comunque. Non vado da nessuna parte."
Stettero così per una buona mezz'ora e, quando il dottore si fu calmato completamente, Sherlock lo aiutò ad alzarsi e lo condusse in salotto, tenendolo per mano. Si sedettero entrambi, ognuno sulla propria poltrona, consci del fatto che avrebbero dovuto parlare di quello che era successo.
John parlò per primo: "Mi dispiace. Non avrei mai voluto che mi vedessi così"
"Vuoi dirmi quando è iniziato?" chiese, cautamente.
L'uomo distolse lo sguardo. "Credo sia partito tutto da lì. Dalla paura di voler chiudere con la vita." Sherlock sapeva quanto costasse all'uomo farsi vedere in quello stato, quanta fatica stesse facendo per mettere da parte l'orgoglio e per confessargli una cosa del genere. Quindi stette in silenzio. "Ho preso il bisturi. Quello che usi tu per fare gli esperimenti. Era lì, sul tavolo della cucina. E l'ho preso in mano. Ho tolto il cappuccio." la voce gli tremò "Ho premuto la lama sulla pelle, proprio sull'avambraccio. Non forte, non tanto da far uscire sangue. Ma ci pensi, Sherlock? Ero quasi sul punto di continuare, fino al polso" non osò dire altro e si fermò.
"Ma non lo hai fatto." Constatò Sherlock.
"No. Ma se lo avessi fatto? Cosa sono diventato? Cosa mi sta riducendo in questo stato?" il suo respiro accelerò.
"John, hai solo perso il controllo. Non c'è nulla di malato in questo."
"E se ricapita? E se mi sento perso di nuovo?" chiese con un filo di voce. Questa era la vera paura, che succedesse di nuovo. E se la volta dopo Sherlock non lo avrebbe trovato? Se fosse andato ancora più in là?
"Ci sarò io a ricordarti dove sei." John fece un mezzo sorriso e lo guardò negli occhi.
Si alzò e si sedette sul tappeto, ai piedi della poltrona dove era seduto Sherlock. Appoggiò la testa sule sue ginocchia, lasciando che il detective gli accarezzasse i capelli.
Poi, con un filo di voce disse: "Non ti arrendere, d'accordo Sher? Non ti arrendere, con me. Perché io l'ho già fatto."
"Mai" disse soltanto, continuando ad accarezzare la testa del suo fidanzato.
YOU ARE READING
Hear my heartbeat - Johnlock
Teen FictionJohn continua ad avere crisi di panico, da quando Sherlock ha finto la sua morte. E il detective è l'unico che riesce a farlo stare tranquillo.