하나 Shopping Mall

185 20 11
                                    

"Dammelo!" La bambina saltellava cercando di riprendere un quadernino, nelle mani di un'altra bambina poco più grande di lei. Quest'ultima rise, sollevando l'oggetto e facendo perdere la pazienza alla più piccola che, infastidita, sbatté un piede a terra con un'espressione arrabbiata che la rendeva terribilmente dolce.

Mark non poté far altro che pensare a quanto fosse ingiusto. Non sopportava la mancanza di rispetto e quell'atteggiamento di supremazia. Era convinto che quella bambina non avesse fatto niente per meritarsi quel trattamento.
I bambini sapevano essere davvero cattivi quando volevano. Trovavano una scusa stupida e ti prendevano in giro, ti emarginavano facendoti sentire sbagliato.

Sbuffò, ricordandosi di quanto fosse stato stupido da bambino. Si lasciava deridere senza far niente inizialmente e sopportava quei "Palla di lardo", "Grasso" o quei sussurri tra i compagni su quanto fosse strano e esagerato in ogni cosa che faceva. Spesso lo circondavano e lo riempivano di insulti, si sentiva uno schifo. Ma, in fondo, stava davvero bene con se stesso, non capiva perché dovessero continuare a farlo star male e si arrabbiò. Erano nel cortile della scuola quando all'ennesimo insulto diede una spinta a uno degli idioti e fu davvero felice quando la sua espressione divertita mutò in una spaventata. Gli saltò addosso e cominciò goffamente a dargli colpi, pugni e schiaffi ovunque. Quello però chiamò aiuto e lui fu costretto a scappare, spaventato dallo sguardo deluso della maestra.
Non era giusto, non era affatto giusto. Lui aveva ragione, no? Era convinto che dopo quel che aveva fatto nessuno lo avrebbe più preso in giro. Eppure peggiorò solo la situazione e non ottenne niente; perse la fiducia dei suoi genitori, dei suoi 'amici' e della maestra.
Continuarono a prendersi gioco di lui.

Andò avanti così per anni e anni fino a quando non decise di risolvere tutto in un altro modo.
Si sentiva uno schifo ogni volta e ormai era convinto di esserlo, quindi doveva essere come gli altri volevano che fosse. Se lo prendevano in giro perché era grasso, perché parlava troppo ed era troppo felice allora avrebbe dovuto perdere peso e starsene zitto per i fatti suoi.
Esagerò: cominciò a isolarsi da tutti e il suo desiderio di essere magro era diventato una fissazione. Contava ogni caloria per ogni giorno, spesso saltava i pasti e pian piano tutta questa situazione gli sfuggì di mano e, inconsapevolmente, arrivò a essere sottopeso, fin troppo.
Scosse la testa accorgendosi di essersi incantato e della mano di Jackson che andava su e giù davanti ai suoi occhi.

"Ti sei incantato per qualcosa tipo un'infinità di tempo" disse serio. Gli pizzicò la guancia sorridendo improvvisamente "Cute."
Mark scoppiò a ridere, mise le mani in tasca e continuò camminare accanto a Jackson.
"Dove vuoi andare?"
"All'ultimo piano, c'è un posto che devi vedere. È questione di vita o di morte."

Le porte dell'ascensore si aprirono e Jackson lo trascinò dentro facendolo sbattere contro qualcuno.
"Scusami!" Quasi urlò, preoccupato. Rivolse un'occhiata arrabbiata a Jackson e si mise vicino a lui mentre il tipo con cui si era scontrato lo guardava male scuotendo la testa, scocciato, allontanandosi. Mark si sentì morire per la vergogna e diede una gomitata a Jackson che non reagì se non con una risata che suonava terribilmente fastidiosa in quel momento. Rivolse lo sguardo al ragazzo a qualche passo da lui.
Era bello, dannatamente bello a parer suo. Aveva gli occhi grandi, il naso perfetto, i tratti del viso erano dolci e delineati, i capelli neri arruffati sotto un capellino con la visiera arancione. Mark si sentiva niente rispetto a quel ragazzo. In più, il maglione beige e nero che indossava lo rendeva carinissimo e a Mark venne voglia di abbracciarlo. Sospirò continuando a guardarlo e facendo la seconda figuraccia, guadagnandosi uno sguardo stranito dall'oggetto dei suoi pensieri - che decise di allontanarsi sempre di più - e lo scoppio della risata di Jackson che non fece altro che peggiorare la situazione. Guardò Jackson in cerca di aiuto e quando capì che il suo amico era inutile fece la cosa più ovvia: gli calpestò il piede e, accompagnato dal sottofondo dei suoi lamenti, prese il telefono fingendo di messaggiare.

S h o p p i n g   M a l lDove le storie prendono vita. Scoprilo ora