Stupida.Strana.Racchia.Brutta.Sciatta.Troppo magra.Troppo timida.Troppo, poco, non abbastanza.
Ne facevo un problema.Ne facevo davvero un grosso problema.Mi dicevano queste cose dal lunedì al sabato, ma di domenica la mia testa le ripeteva in loop.Avrei potuto rilassarmi, non sentire niente, ma sceglievo ogni domenica di riempirmi il cervello con tutta quella robaccia.Avrei potuto lasciarmi andare, leggere un libro senza pensare "vorrei che la mia vita fosse così". Odiavo la mia vita. Ogni mattina, prima di andare a scuola, mi guardavo allo specchio detestando quello che vedevo, cercando una via d'uscita a quello che mi succedeva dentro a quelle mura, ignara del fatto che la scappatoia che cercavo fosse proprio dentro quello specchio.Ero io.Io avrei potuto essere l'eroina di me stessa, ma ho scelto di non esserlo, non sapevo come.
Ai tempi delle elementari, era una grossa ghigliottina sociale non alzarsi al richiamo della maestra presentando compiti perfetti, senza una sbavatura, una cancellatura, una macchia di marmellata di bacche di gelso.Ero sempre l'ultima ad essere chiamata, ogni giorno un teatrino diverso.Ad un certo punto smisi di alzarmi.Non li facevo, oppure li facevo solo quando mi stimolavano.La maestra mi portava fuori, mi sgridava, mi chiedeva perché, perché, perché non fai questi dannati compiti?
Tutti quanti ne facevano una tragedia di stato.Il fatto che io a casa giocassi, leggessi, pitturassi, torturassi le mie barbie o giocassi col mio gatto invece di scrivere 100 volte in corsivo perfetto 'io amo la maestra' pareva gettare tutti nello sconforto più totale.A me non interessava farlo.Piangevo mattinate intere solo per quello che mi veniva detto a proposito.Il mio diario era pieno zeppo di note che non mostravo ai miei genitori.Un giorno ne collezionai una lunga due pagine e mezzo di quaderno.
Come al solito, venni chiamata per ultima al giro di controllo dei compiti.
<<Lo sai che non li ho fatti, maestra, è inutile che me lo chiedi ancora.>>
<<Alla cattedra.Porta il diario.>>
<<Non ce l'ho.Non l'ho portato.>>
Partì un 'ooh' generale, la maestra alzò di colpo lo sguardo.
<<Quindi non hai né compiti né diario?>>
<<No, niente.>>
<<Bambini, alzi la mano chi ha portato i compiti fatti e il diario.>>
Alzarono tutti la mano, tranne me.
<<Guarda quante mani alzate, guarda.Tu sei l'unica.Ti senti così diversa da non comportarti come gli altri?>>
<<Maestra, non fingere di non sapere che qui tutti hanno tutto pronto e perfetto solo perché hanno i genitori che gli fanno i compiti e gli preparano la cartella.Lo so io e lo sai anche te.>>
Calò il silenzio. Avevo oltrepassato il limite. Qualche testa si scuoteva, ma nessuno fiatava.
Avevo parlato sotto ad uno sguardo che pretendeva riverenza.La maestra ordinò alla bambina accanto a me di prendere nel mio zaino qualcosa dove potesse scrivere una comunicazione ai miei genitori.Toccò il mio zaino come se contenesse un cadavere in rigor mortis, poi le consegnò un quaderno.
Nella nota c'era scritto, con mille giri di parole e francesismi, che, secondo il suo parere professionale, sarebbe stato meglio portarmi da uno specialista, ero fuori di me, fuori controllo, ingestibile.
Non avevo mai messo le mani addosso a qualcuno neanche per accarezzarlo, non avevo trattato male nessuno, nessuno aveva mai versato una lacrima per causa mia.Ma in 5 anni, fui l'unica a cui consigliarono un TSO.
Ogni giorno tornavo a casa con un livido nuovo.Ai miei genitori dicevo che me li procuravo giocando con le altre bambine.Dicevo un sacco di bugie, per non farli preoccupare, per non far decidere loro di cambiarmi scuola e mandarmi a 10 km al tempo pieno.Non volevo essere torturata anche di pomeriggio.
Le maestre facevano finta di non sapere quello che succedeva, fingevano di non sapere che equivalesse a gettarmi in pasto ai cani annunciare che la classe non sarebbe andata in cortile a causa del tempo perso a scrivermi la nota.
Tutto questo sembra un quadro triste, dove io sono la vittima indiscussa e tutti gli altri i miei aguzzini senza cuore, ma non è così.Io ero la carnefice di me stessa.Io sceglievo che quella merda mi facesse male.
Avrei potuto fare diligentemente i compiti, avrei potuto essere uno stampino come tutti gli altri.Se c'è una cosa che ammiro di me stessa è che non sono mai cambiata.Nei miei disegni c'era sempre il sole nonostante tutto.Sarebbe stato indubbiamente più semplice e meno doloroso omologarmi.Sarebbe stato tutto dritto, ma rifarei tutto quanto, perché quello schifo mi ha resa quello che sono.
Mi pento soltanto di come l'ho vissuta.Male, malissimo.Non uscivo dalla mia stanza, parlavo pochissimo, mentivo ai miei genitori.Avrei dovuto essere libera.PERCHE' AVREI POTUTO ESSERLO.
Avrei potuto dire ai miei genitori tutto quello che mi succedeva, ma allo stesso tempo dir loro che andava bene così, che tanto ce l'avrei fatta comunque.Ce l'ho fatta stando zitta e tenendomi tutto dentro, chiudendomi in camera, stando sola.Sarebbe stata una cazzo di passeggiata se solo avessi capito prima quello che so oggi.
Ho due gambe per camminare, due braccia per abbracciare, due mani per disegnare, una bocca per baciare, un naso per sentire il profumo dei fiori, due occhi per vedere l'alba, due orecchie per ascoltare musica scadente e non, dei lunghi capelli da intrecciare come voglio, un cuore che batte forte ed un cervello pieno di idee.Posso fare tutto.Il mondo è mio, il mondo sono io.Ed è questo quello che conta.L'essere umano è giudicante per natura, quindi non posso pretendere dagli altri ignavia totale nei miei confronti, ma quello che pensano di me non sarà mai più un mio problema, perché io sono viva, perché anche se 1000 persone su 7 miliardi pensano che io sia stupida, strana, racchia, brutta, sciatta, troppo magra, troppo timida, troppo, poco, non abbastanza, questo non mi definisce.Se sono orrenda per X, Y mi vedrà con i propri occhi e mi osserverà come fossi una dea.A chi importa di piacere a tutti?Se Z mi dice che sono una puttana, il sole non imploderà, la mia famiglia mi amerà ancora, potrò ancora essere tutto ciò che voglio.Perché il veleno della gente non mi definisce.IO DEFINISCO ME STESSA.Perché sono quel che sono, perché finché siamo vivi possiamo fare tutto (magari anche dopo essere morti, ma questo purtroppo non lo possiamo sapere).Il resto sono scuse.
E tu che stai leggendo, tu che sei in una situazione di stallo, tu che soffri per qualcosa che tra 5 anni ti farà ridere, tu che ti preoccupi di piacere agli altri o addirittura a tutti, smettila.E a me non importa niente se è dura, non mi importa niente dei tuoi "ma", dei tuoi "se", sono scuse.Puoi stare bene, puoi, puoi, puoi.Sei capace di leggere quello che ti sto scrivendo.Leggere, comprendi?Queste lettere, su questo schermo, a chi non sa leggere non arriveranno mai, non significheranno mai nulla per lui, ma tu, dannazione, tu sai decifrare delle forme e trasformarle in un'idea, in delle immagini!E' meraviglioso, è divino quello che stai facendo.Quindi esci.Vivi.Fai.Scrivi.Leggi (lo sai fare).Mangia.Prenditi cura di te.Scrivi a quel ragazzo.Smettila di scrivere a quella ragazza.Dai un bacio a tua madre.Scappa.Cambia.Fai tutto il sesso che vuoi.Siamo umani, cazzo, siamo vivi.Onora ogni tua cellula, lasciala andare.E non potrà mai essere sbagliato.Anche se qualcuno dirà che lo è.
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Sono quel che sono
ChickLitPerché ci sarà sempre il sole, nonostante tutto, nonostante tutti.Ci sarà sempre, e ci sarò sempre anche io.Ecco perché.