Non erano nemmeno passati tre mesi da quando, Antonino, si era trasferito nella casa ricevuta in eredità dal nonno. Era una casetta in campagna poco più grande del bilocale che aveva dovuto lasciare in città. Crepe alle mura ammuffite, le porte scricchiolanti e le finestre che ululavano al minimo spiffero. Per Anto però quella casetta aveva notevoli vantaggi. Era la casa più lontana, della più distante stradina, della più remota campagna mai esistita.
Il posto adatto per rintanarsi dopo che, perso il lavoro, era rimasto solo e indebitato. Il terreno era molto esteso tanto che, l'unica costruzione che si scorgeva a vista, era un capannino diroccato immerso nel boschetto di ulivi alle spalle della casetta. Lo ricordava bene quel capanno. Tutte le estati da bambino le aveva passate lì, giocando con i suoi cugini. Ma secondo le ultime telefonate con il nonno, quel luogo di giochi infantili si era trasformato in un raduno di ragazzacci intenti a fare chissà che. A confermare i racconti del nonno, ogni due giovedì del mese quel capanno veniva illuminato da una luce, musicato da un sommesso brusio e ballato da ombre melliflue. Antonino si era dimostrato anche troppo paziente verso quella violazione della propria solitudine.
Durante le prime settimane aveva sperato che quell'appuntamento non fosse fisso e ancora non aveva preso provvedimenti. Si era detto: "Saranno solo ragazzi intenti a fumare e bere qualche birra, o una coppietta in cerca della sua privacy". Probabilmente una scusa per la paura che ci fosse davvero qualche ragazzaccio, al quale lui, non avrebbe saputo tener testa. Ma non quella sera. Prese tutto il coraggio che il latte caldo e miele poteva dargli, posò la tazza e risoluto varcò la porta di casa diretto al capannino diroccato. Ad ogni passo continuava a ripetersi: "Gliela faccio vedere io!". E ancora: "Come si permettono ad entrare in casa mia? Gliela insegno io l'educazione!". Tanto gonfiò la sua autostima che appena intravisto l'uscio del capanno si lanciò al galoppo come un fiero dio della guerra in pigiama e ciabatte. Inciampò. Cadde. Svenne.
Quella pennichella imprevista doveva esser durata un po' visto che, al risveglio, la sua volontà combattiva aveva lasciato il posto all'intorpidimento e allo smarrimento. Una direzione però vi era ancora e prese a dondolare verso il capannino. Varcata la soglia, sotto una luce calda vi erano un vecchio divano rosso sul quale sedevano tre uomini. Per inerzia Anto prese a sedere su di uno sgabello. Si grattò il capo perplesso. Quando si accorse che l'uomo di fronte a lui al posto dei piedi aveva degli zoccoli e una fasciatura ad una zampa. Zampa e zoccoli. Sbarrò gli occhi. L 'ospite sentendosi fissato parlò: "Brutta storia quella, me la sono fatta per colpa di una tagliola che quel disonesto di Zompatrombetta dissemina per il suo campo di carote bio". Uno sbuffo piccato partì dalla creatura al capo opposto del divano: "Barbaro". Una specie di pianta, che Anto ipotizzò essere una femmina dal tono melodico nello sbuffo. La donna-pianta nascondeva il suo viso dietro un libro per evitare di socializzare con gli altri ospiti. Quel gesto di disappunto non era passato inosservato e il cervo parlò ancora: "Ehi driade! Anche noi cervi dobbiamo mangiare e poi, il tizio le butta in padella mica nella la Jacuzzi".
A fare da muro in mezzo ai due un'armatura ingombrante, nella quale era impossibile capire se qualcuno ci fosse o no visto che rimaneva immobile. Anto, convinto ancora di sognare o, semplicemente arresosi all'ipotesi di esser totalmente impazzito, chiese al cervo in felpa gialla: "Zompatrombetta sarebbe l'inglese che abita all'inizio della strada?". La domanda fece affiorare sul viso del suo interlocutore un sorriso divertito: "Si, lo chiamo così perché gli fa difetto una gamba e mentre scende ai campi emette uno strano suono, come di una trombetta". Anto trattenne a stento una risata, la quale coinvolse anche il cervo. La descrizione calzava a pennello a Mr.Georgeson un avvocato ambientalista e vegano che aveva avviato un commercio di verdure bio a km zero. "Io sono Cornosecco e sono uno spirto animale" disse porgendo la zampa. Anto rispose al gesto di cortesia e disse: "Io sono Antonino!". Secco si voltò verso gli altri occupanti del divano: "Miss simpatia è Verdevera la pianta carnivora e lui è Kazuhiro. Secoli fa ha perduto la vita e l'onore per una donna. Ha perso anche il senno e vagabondando è arrivato qui. Neanche il dottore è ancora riuscito a trovare una soluzione". "Aspetta un attimo?!" pensò Anto. "Spiriti, morti. Oddio!". Ma un rumore interruppe i suoi pensieri.
Era la porta che divideva in due il capanno. Un essere molto alto, con una folta e lunga barba bianca, la pelle come corteccia e un camice fatte di foglie rossastre ne uscì guardando verso gli ospiti del divano. Si accorse presto di Anto e stupito disse: "Mio caro signore, lei che ci fa qui? Non è ancora il suo tempo. Venga, la rimettiamo nel suo corpo".
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Il Capannino Nel Bosco
ParanormalAntonino si trasferisce nella casa ereditata dal nonno dove farà uno strano incontro