prologo

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La stanza è buia, distinguo solo le poche cose il cui profilo è illuminato dal filo di luce che riesce a penetrare da sotto la finestra. Vedo la scrivania, il bordo del letto e il premio di xfactor che stanotte ho stranamente tenuto spento. Poi vedo anche le carte delle merendine che ieri sera abbiamo lasciato in giro, troppo stanchi per metterle via.
Mi metto a sedere a gambe incrociate
facendo capolino nella stanza.
Mi sporgo a sinistra per guardare l'orario sullo schermo del telefono; la luce mi stordisce lievemente, socchiudo gli occhi e allungo un braccio che coprirla il più possibile. Sono le 4.39, troppo presto per alzarsi. Ma non in questo caso.
Mi giro e appoggio i piedi sulle mattonelle fredde alzandomi facendo il meno rumore possibile. Allungò una mano per raccogliere la t-shirt nera lasciata nella foga per terra, la indosso piano e raggiungo la porta, socchiusa.
Esco silenziosamente, spaventandomi leggermente quando il cigolio creato dalla chiusura della porta mi fa temere di averlo svegliato. Non è stato così. 

Raggiungo il balcone che si affaccia su Milano. A quest'ora la città è già sveglia, i rumori dei mezzi mi penetrano le orecchie e la puzza di smog mi avvolge le narici, mentre gli occhi seguono le persone che camminano e che vedo a fatica. Irritato, rientro in casa per prendere gli occhiali. 
Sono in parte al lavandino della cucina, dove li ho lasciati la sera prima. Li indosso e mi passo una mano tra i capelli scompigliati, senza un vero motivo.
Raggiungo di nuovo il balcone, per poi sedermi sulla sedia che tengo sempre lì, insieme a un tavolino. Osservo di nuovo la città, un po' più nitida sia per il lento arrivo del sole che per i miei decimi di vista ristabiliti.
Allungo lo sguardo verso il tavolo, notando che ha lasciato lì il pacchetto di sigarette e l'accendino, in parte il posacenere.
"Non lo capirà mai" penso sbuffando.
Non mette mai a posto niente, certo sono l'ultima persona che in questo caso potrebbe parlare, però almeno avrebbe potuto appoggiarli dentro casa.
Alzo gli occhi al cielo fissandolo noncurante e lanciando occhiate furtive alle sigarette.
-Oh, e va bene.-.
Allungo la mano e afferro velocemente il pacchetto, estraendo la sigaretta con la sfrontatezza di chi l'ha fatto per anni, ma anche con la goffaggine di chi non avrebbe più voluto farlo.
La appoggio sulle labbra e la trattengo lì giusto il tempo di prendere anche l'accendino.
Riparo la fiammella dalla lieve brezza mattutina che punge leggermente sulle braccia e sulle gambe nude, la avvicino all'estremità della sigaretta e prendo un bel respiro. Il fumo mi investe i polmoni, li riempie sicuro, mi lascia un senso di calma e familiarità che per un momento mi fa fermare e mi fa notare che il sole sta sorgendo.
Le sfumature rossastre del cielo mi fanno sorridere, finché una vampata di fumo mi copre la visuale. Quasi maledico e allo stesso tempo benedico quella cazzo di sigaretta. Mi ha fatto notare uno spettacolo che poi ha nascosto. Un po' la metafora della vita, no?

Infastidito, la spengo con calma nel posacenere, spostando un po' i mozziconi già presenti all'interno per far sembrare che non l'abbia mai fumata. Sistemo meglio anche il pacchetto e l'accendino, sforzandomi di ricordare come fossero appoggiati in precedenza.
Dopo essermi reputato soddisfatto del lavoro svolto, mi alzo dalle sedia stirando la schiena e le braccia. Ormai il sole ha superato l'orizzonte, illumina la città con il suo giallo caldo, che mi fa uno strano effetto per colpa degli occhiali. È proprio una cosa che odio. Quando indossi gli occhiali, tutte le luci diventano innaturali per colpa di riflessi vari, come se le stessi guardando attraverso la fotocamera di un telefono. Bah.

Rientro in casa e cammino spedito verso la camera, fermandomi però poco prima per osservare la porta, ma non tanto perché la porta se lo merita, perché diciamocelo, è proprio brutta.
In questa cosa, più che altro, ci vedo il significato simbolico. Sto letteralmente fissando una porta socchiusa. E quando una porta non è una porta? Quando è, appunto, socchiusa.
Ora io ho questo grandissimo bisogno di farla diventare una porta, devo scegliere cosa farne.
Chiuderla o aprirla?
Tenerla chiusa per un po' e poi aprirla?
Tenerla aperta ma tenersi pronti per poterla chiudere all'occorrenza?
Però deve diventare una porta. Sennò tutto può entrare e tutto può uscire, decidendo loro se chiudermela o aprirmela. E non voglio. Perderei il controllo della mia vita, inciamperei in tutti i tombini e mi arrampicherei su tutti i muretti che trovo. E non voglio. Devo dare un senso a determinate cose, e al momento il loro senso non lo trovò. Magari c'è, magari è talmente palese da far fatica a notarlo. Però non lo trovo, non lo trovo proprio.
E ora devo decidere se impegnarmi a trovarlo e accettarlo, oppure costruirlo secondo il mio volere.
Sennò posso lasciarlo andare, chiudere la porta e lasciare che tutto svanisca piano e dolorosamente. Però vedete che comunque alla porta un compito glielo devo trovare. Non posso e non devo lasciarla socchiusa. Rischio di perdere tutto senza volerlo, rischio che ciò che non voglio che si aggiunga si aggiunga.

-Che ci fai qui a fissare la porta come un deficiente?-
Scuoto la testa e ritorno alla realtà.
Ero così preso dai miei pensieri che non mi ero per niente accorto di lui, dei suoi occhi castani che mi fissavano confusi.
-Ehm.. scusa, scusa, ero soprappensiero, io stav..- non finisco la frase che le sue labbra sfiorano piano le mie. Si stacca velocemente, superandoli con velocità gridandomi -Non ti preoccupare!- 

Sfrego il polso sulle labbra, gesto ormai spontaneo di quando la gente mi bacia quando ho poca voglia di essere baciato.
Osservo un attimo il braccio.
Penso alle farfalle nello stomaco, alle emozioni. E ne è lui la sorgente.

Guardo di nuovo la porta con sguardo di sfida. Mi avvicino con due passi decisi.
-Io ce la farò!- sussurro puntando il dito contro la povera lastra di legno.

Il mio accanimento viene fermato da un urlo che arriva dalla cucina.
-Michi è pronta la colazione!-
-Arrivo Giulio!- mi giro e mi stampo un sorriso sulle labbra, la porta alle mie spalle spalancata.

VOLPELEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora