Ci sono storie che hanno un inizio ed una fine, altre che hanno un inizio ma non una fine. Infine, ci sono storie come le nostre: con tanti inizi.
Ricordo perfettamente il primo giorno in cui ci incontrammo, o perlomeno in cui io ti incontrai.
Mi trovavo in giro per Piazza del Palazzo quando ti notai.
Eri lì, seduto su di una panchina sotto la tenue luce di un lampione mentre contemplavi la luna.
I tuoi occhi splendevano sotto la sua carezza di luce. Brillavano. Sembravano quasi due preziosi zaffiri.
Restai ammaliato nell'osservarti. I tuoi capelli grigi ti davano un tocco fresco, quasi infantile oserei dire. I lineamenti del viso erano sinuosi. Le dolci labbra piegate in una linea dritta. Un espressione dubbiosa coronava il tuo volto.
Tutt'oggi non so a cosa tu stessi pensando, non te l'ho mai chiesto. Avrei voluto farlo.
Penso di aver passato minuti ad osservarti, senza mai staccarti gli occhi di dosso. Restai paralizzato.
Ad un tratto dalla mia tasca uscì una melodia che mi scosse: qualcuno mi stava chiamando. Abbassai un attimo lo sguardo per chiudere la chiamata ma quando lo rialzai tu eri sparito, scomparso.
Mi sentii triste al solo pensiero di non poter più rivedere quello spettacolo. Penso che il mio amore per te sia sbocciato in quell'attimo, ma al tempo ancora non me ne rendevo conto.
Passarono i giorni, ma il tuo ricordo non voleva lasciare la mia mente. Eri lì, costantemente, ad affollare i miei pensieri.
Avevo anche provato a ritornare in quel posto i giorni a seguire, ma di te nessuna traccia. Iniziai a pensare che fossi solo frutto della mia immaginazione.
Trascorse due settimane capì finalmente che l'unica cosa da fare era di continuare la mia monotona vita con il solo tuo ricordo dentro la mia testa quando, un nuvoloso giorno di novembre, ti rincontrai in un cafè.
Mi trovavo li con Phichit per puro caso, doveva raccontarmi della sua vacanza in Cina dove aveva conosciuto Guang Hong Ji: non aveva smesso un minuto di parlare di lui.
Tu figuravi al bancone, indaffarato a preparare un doppio cappuccino con panna e scaglie di cioccolato. Mi hai sempre lodato per la mia buona memoria.
I miei occhi si illuminarono, avrei ancora potuto osservarti. Rimasi di nuovo ammaliato da te. Eri bello anche con quel grembiule sudicio di caffè e quel berretto verde che indossavi con tanto orgoglio.
Penso che tu sia sempre stato orgoglioso di mantenerti da solo, e questa era una delle cose che più mi piacevano di te.
Continuai a fissarti come estasiato, fin quando non ti voltasti. Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono, giusto il tempo per permettermi di arrossire all'inverosimile.
Spostai subito l'attenzione sul menù, che al momento sembrava diventata l'unica cosa che poteva essere ritenuta interessante.
-Yuuri, mi stai ascoltando?- tutto d'un tratto ricordai che Phichit era lì con me. Il rossore sparì immediatamente- No, in realtà no. Mi sono fermato dopo l'undicesima volta in cui mi ripetevi quanto fosse bello Guang- pensai
Non volevo risultare scortese perciò chiesi di ripetere, se ciò non arrecava disturbo, ovviamente, finché qualcuno non venne a disturbare di nuovo il povero Phichit.
Era lui, in tutta la sua maestosità. Il rossore fece di nuovo la sua comparsa. - Cosa posso portarvi? Avete già deciso?- La tua voce era soave, di quelle che rimarresti ad ascoltare per ore, anche se l'argomento in questione fosse la riproduzione degli scarafaggi stercorari in Cambogia.
-Per me un pezzo di torta alle mele, per te, Yuuri?- rispose Phichit senza esitazione. - Mi dia solo un attimo-.
Cercai di essere il più convincente possibile ma il fatto che i miei occhi fossero puntati sul menù, il quale era al contrario, resero la mia impresa un pizzico più ardua.
-Il menù si legge meglio se messo nel modo giusto- mi dissi inserendo anche una piccola risatina alla fine prima di prenderlo e metterlo all'inverso.
Pensai di non aver mai raggiunto livelli di rossore così alti in vita mia.
-Va bene un cappuccino- sussurrai, ormai nel culmine dell'imbarazzo riponendo il menù
-Arrivano immediatamente- rispondesti. Inutile dire che Phichit si prese gioco di me per il resto dell'anno.
Arrivati alla fine di quella, stressante, colazione andammo a pagare. Velocemente cacciai i soldi per pagare la mia parte ma mi fermai di colpo quando, per l'ennesima volta, ti trovai li.
-Fanno 2.40€ in totale-. Nel dire questa frase sorridesti in modo tenero. Ho sempre amato quel sorriso.
Guardai i tuoi occhi. Azzurri, come il cielo in estate. Diedi la mia quota senza proferire parola e quasi scappai dal locale, senza neanche aspettare il mio amico.
Quello fu il giorno in cui ci incontrammo -tutti e due- per la prima volta. Il giorno migliore della mia vita.
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A THOUSAND LIVES - Victuri
FanfictionE ora non ci sei Domani è già arrivato E brucia dentro, sai, anche se ero preparato E cadono parole come pioggia sulla strada Forse verrà domani il sole che le asciuga.