Giorno 1

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Giorgio

Uno, due, tre. Respiro profondamente e cerco di mantenere la calma.

Quattro, cinque, sei. Apro gli occhi lentamente e mi sforzo di sorridere in maniera cordiale - la cordialità dovrebbe essere alla base del mio mestiere.

Sette, otto, nove. Guardo la signora che, in preda ad un attacco di rabbia, mi scaglia addosso i peggiori insulti del suo repertorio e - anche se inutilmente - continuo a ripetermi che questo è solo l'ennesimo episodio di pazienti maleducati, che pretendono di sapere di più rispetto a chi ha una laurea in medicina e pratica il mestiere da anni.

Dieci. Sospiro, sospiro e sospiro ancora prima di esplodere completamente, come una bomba ad orologeria.

"Signora, per dio! Sua figlia ha una caviglia slogata, SOLO una caviglia slogata! Non un osteosarcoma, non un disturbo muscolare. Una caviglia slogata! Se non si fida del parere del dottore che ha appena visitato la bambina, è gentilmente pregata di prendere la strada verso l'uscita e di smetterla di gridare nel bel mezzo di un pronto soccorso. Qui, c'è gente che sta veramente male!" la signora, una donna sulla quarantina chiaramente affetta da ipocondria, sbatte le palpebre un incalcolabile numero di volte prima di proferire qualsiasi parola. Mi guarda stralunata e con un fare indignato, mentre la figlia assiste alla scena seduta sulle ginocchia di quello che presumo sia il padre.

"Lei - mi punta un dito contro minacciosamente - è un grandissimo maleducato! La farò licenziare immediatamente! Mi ricorderò della sua faccia tosta, ci può giurare!"

La donna, dopo aver apparentemente riconquistato la sua sanità mentale, recupera la figlia infortunata ed il marito esasperato ed abbandona - non senza sbattere rumorosamente la porta - il pronto soccorso.

Sospiro, ancora, esasperato e torno a chiedermi per quale motivo io abbia scelto di fare questo mestiere. Il mio sogno era quello di diventare un medico, ai tempi del liceo. Allora mi immaginavo nel mio bel camice bianco, attorniato da colleghi competenti e acclamato dai pazienti per la mia grande professionalità e per il mio enorme talento in sala operatoria. Ovviamente, qualcosa è andato storto, e anche prima del previsto. Il fato - o forse il fatto di essermi ubriacato la sera prima del test di ammissione - ha fatto sì che io non superassi l'esame, annullando così tutti i miei fantastici sogni di gloria. Due giorni dopo, senza nemmeno pensarci su più di tanto, mi sono ritrovato a compilare il test d'ammissione per infermieristica, considerando la facoltà come un piano B in extremis - che, però, non doveva affatto escludere la possibilità di ritentare per entrare alla facoltà di medicina. Ed è così che mi sono ritrovato, quasi per caso, a fare l'infermiere in un pronto soccorso di provincia.

"Solita paziente con qualche rotella fuori posto?" mi chiede Alberto, staccando lo sguardo dal computer con il quale, solitamente, svolge il suo lavoro. A volte lo invidio, vorrei occuparmi anch'io di accettazione - sicuramente riceverei meno insulti di quelli che mi toccano quotidianamente.

"Sì - sbuffo, appoggiando i gomiti in maniera stanca sul bancone - non capisco che gusto abbia la gente a riempirmi ogni giorno di insulti. Come se poi potessi mettere bocca su ciò che dice un dottore!"

Mi copro la faccia con una mano, nel vano tentativo di scomparire definitivamente dalla faccia della torra - o forse con la speranza di ritrovarmi miracolosamente lontano da quest'inferno.

"Secondo me è perché hai una grandissima faccia da culo, amico" Alberto se la ride dall'altra parte del vetro, mentre si prende una delle mie migliori occhiatacce del repertorio. Ho davvero la faccia da culo?

I miei pensieri più o meno filosofici sul senso del mio lavoro e, esatto, sulla mia bellissima faccia da deretano vengono interrotti dall'ennesimo ingresso scassa-timpani di una paziente.

27 DAYSWhere stories live. Discover now