Capitolo I - Shana

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Ci sono dei momenti in cui mi soffermo a riflettere su quello che accadde quel giorno. Si tratta di attimi, piccoli lassi di tempo, ogni volta in cui provo a farlo la testa comincia a battere, il mondo gira e non capisco più niente. Mi si contorce lo stomaco, quasi come se fossi un naufrago disperso in mezzo ad una tempesta. Faccio un tuffo nell'oceano, ma appena riesco torno a galla, ho bisogno d'ossigeno. Ne ho bisogno davvero. Nonostante io sappia perfettamente che non potrò rivederti mai più, mi manchi, da morire. Così come lei, che una volta mi disse -Tornerò-.  Da allora sono passati dieci anni, ma di lei non ho visto nemmeno l'ombra. So che posso fidarmi, perciò almeno lei, ho intenzione di aspettarla.

Oggi è un giorno come tutti gli altri, riesco a sentire sulla pelle il caldo torrido di queste giornate d'agosto, un mese irrilevante se non fosse per le stelle. Le mie tanto amate stelle, almeno loro non mi hanno abbandonata. In realtà so perfettamente che, se non fosse per il fatto che sono ancorate lì nell'universo, mi avrebbero lasciata sola anche loro. Detto da una come me può sembrare strano ma a me piace particolarmente l'idea di avere qualcuno su cui poter contare, qualcuno che mi ami incondizionatamente e non mi lasci mai. Eppure sono così dannatamente sola, perché nessuno mi ama? Perché ho perso tutto ciò che avevo? L'unica cosa che avevo... Continuerò a chiedermelo in eterno fino a quando le cose non cambieranno. Continuerò a lottare con quella parte di me stessa che ancora si tormenta e si distrugge, mentre, dall'altro lato c'è quella parte che si convince che tutto va bene, che io sto bene. Che la felicità è lì e io appena aprirò gli occhi riuscirò a vederla. Questo è solo un brutto incubo, svegliati Shana. Sebbene ci provi con tutte le mie forze, per quanto possa illudermi, la verità è che sono sola, e anche tanto. La vita va così, o almeno la mia di vita va così. Il fatto che io sia nata gatta mi ha portato sfortuna sin dalla nascita, a questo bisogna aggiungere la storia del "gatto nero". Insomma non è stato facile, non che ora lo sia, ma non mi fraintendete, io alla sfortuna non ci credo per niente. Penso che le cose vadano come devono andare, prima o poi anch'io sarò felice, come lo ero una volta. Ma per ora non ne voglio parlare. Continuerò a guardare questo cielo blu profondo che mi risucchia l'animo. Senza nemmeno rendermene conto mi ero addormentata, adesso lo sento dolcemente, il fruscio dei rami spostati dal vento. Questa delicatezza riesce a toccare il punto più profondo del mio spirito, sento le palpebre pesanti, chiudo gli occhi e respiro profondamente. Mi sento così leggera. 

-Seconda parte-

Dopo un paio di minuti decido di alzarmi, sono pigrissima e ne sono consapevole ma se continuo a dormire in posti a caso prima o poi qualcuno mi ucciderà mentre dormo. Cammino nella foresta tra le foglie cadute che scricchiolano ad ogni passo e il vento che soffia lieve ma convinto. Continuo spedita senza fermarmi per arrivare al villaggio, è situato in una radura nascosta da alcune montagne. Se spiegassi per filo e per segno dove si trova che senso avrebbe? Nessuno viene in quel posto, oltretutto quelle poche persone che ci vivono sono quasi tutte vecchie e spaventate. I giovani sono pochi, i bambini altrettanto. Ci sono così tanti anziani da far invidia ad uno di quei posti che vidi sulla terra tanti anni fa, credo si chiamasse precipizio, anzi no, ospizio. Qui da me posti così non ne esistono, giovani e adulti vivono insieme senza farsi troppi problemi, e in fondo, non ce né il motivo visto che gli anziani ci insegnano tante cose interessanti. Io sono orfana, ma ogni tanto mi reco a casa della signora Althea, mi ha insegnato tanto. Come coltivare una radice, quali sono le costellazioni, quanto dobbiamo stare distanti dagli altri...insomma, tutto. Lei mi ha aiutata. E' vero, qui non esistono posti per giovani e nemmeno posti per vecchi, ma esistono posti per rendere schiave le persone libere. Credo che mia madre fosse nata schiava, questo non l'ho mai saputo, non l'ho conosciuta. Nacqui in uno degli stabilimenti chiamati 'S', al suo interno venivano rinchiusi fuorilegge, persone disperse, persone catturate chissà dove e soprattutto gatti. In pratica se qualcuno decideva di fare un giro per il bosco fuori dal villaggio veniva preso, picchiato e rinchiuso lì dentro. Non restava altro che aspettare con ansia e fremito che qualcuno ti comprasse, pur di evitare la morte. Diventare una schiava non è mai stato il mio sogno, soprattutto da bambina. Ricordo perfettamente quella stanza grigio cenere maleodorante, il dolore lancinante al petto e la voglia immensa di fuggire via da lì. 

-Terza parte-

Una tra le tante cose che odio di me è il non riuscire a dimenticare. Ricordo perfettamente ogni momento della mia vita, soprattutto i peggiori; tutte le urla e i pianti strazianti di quella povera gente che, chissà, forse lì dentro c'è morta. L'insopportabile tanfo di sangue marcio e le catene così strette da arrivare fino all'osso. Lo sento ancora, quel gelido tocco metallico sulla pelle lacerata e dolorante. Ho progettato la fuga così tante volte, eppure non ho mai fatto niente, ero troppo stanca, ferita, sconfortata. Chiudevo gli occhi e sognavo finché mi era concesso. Credevo che, se avessi sognato abbastanza intensamente, una volta riaperti gli occhi mi sarei trovata fuori da quel posto. Magari in un campo o su una spiaggia ricolma di stelle cadenti. Ne sarebbero state così tante da illuminare l'intera spiaggia, e io sarei rimasta lì a raccoglierle facendo attenzione a non scottarmi, perché le stelle bruciano. Ero una bambina, credevo e sognavo cose assurde, in fondo era l'unica cosa che potessi fare. Successe che, in una mattina d'inverno come tutte le altre, un qualcosa cominciò a far rumore, era una campanella d'avviso, anche se io a quei tempi non sapevo assolutamente cosa fosse. In quella gelida mattina, qualcosa cominciò a bruciare. Il fuoco crebbe in pochissimo tempo, e ricordo perfettamente quel lieve ticchettio che sentì provenire dalle grandi catene di ferro battuto. Era un piccolo tic, anzi no, forse più un tac. Questo è irrilevante, so solo che, le catene si aprirono. Improvvisamente tutti cominciarono a lottare, cercando di aprire i grandi portoni, quasi impazzendo per la forte foga. Potevano essere liberi. Potevano sentire nuovamente il calore del sole sul volto, quel calore che io non avevo mai provato. Ammiravo spesso il cielo dalla finestrella in marmo della stanza, ma in vita mia non ero mai uscita. Sino a quel momento. Quando le catene furono aperte e le menti ammattite, io rimasi immobile e per la prima volta nella mia vita il mio cuore tornò a battere di nuovo.

-Quarta parte- 

Non ci volle molto per uscire. Mi arrampicai fino alla finestra e ne uscii senza troppa fatica, ero solo un mucchietto d'ossa, ma ero un gatto, possedevo tutta l'agilità della mia stirpe. Non so se gli altri siano riusciti ad uscire o se il fuoco cocente li abbia divorati crudelmente mentre loro imploravano pietà, nella speranza di uscire per un'ultima volta prima di abbandonarsi alle fiamme. Sarò sincera, non sapevo come fosse strutturato l'intero edificio, né chi fosse il mostro che ne aveva il possesso, conoscevo però ogni centimetro della mia cella. Sapevo bene dove nascondermi e da dove uscire, ma nonostante tutto prima di allora non feci assolutamente niente. Avevo paura. Forse ne avevo perché non volevo scoprire che fuori in realtà nulla era reale. Tutto ciò che mi avevano raccontato erano solo menzogne, quindi tutti i miei sogni erano vani. Forse avevo semplicemente paura perché ero una bambina sola, oppure il motivo era il trovarmi in un posto completamente nuovo e a me sconosciuto, dopo che avevo passato la mia intera infanzia in quel posto. I motivi potevano essere tanti, ma quando vidi per la prima volta ciò che c'era fuori, capii che non volevo più tornare dentro. Ricordo bene il vento tagliente sul mio viso e la vista mozzafiato. A pensarci bene ero ancora all'interno dello stabilimento e vedevo pressoché scatoloni, casse e l'enorme recinzione, ma per me era tutto nuovo e diverso. Avevo visto per la prima volta nella mia vita il mondo.

I miei compagni di cella mi dissero una cosa tempo a dietro.
Se mai uscirai ricorda bene, ci saranno molte persone che cercheranno di prenderti. Tu corri e non fermarti. Non fermarti, hai capito? Non devi voltarti, non devi fermarti, devi solo correre veloce. Se vedrai un muro o un recinto, tu arrampicati e fuggi. Se non puoi arrampicarti poiché il recinto, così come le nostre manette è elettrificato, tu scava. Se non puoi scavare prendi delle casse, crea una torre e salta, potresti farti male Shana. Mi dispiace tesoro, ma il prezzo della libertà è caro. Per uscire dovrai fare del tuo meglio.

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