1. Collisione (parte I)

582 114 127
                                    


Corri.

Non voltarti indietro e non pensare. Non pensare a quello che hai chiuso dietro la porta di casa, al vuoto che la abita, all'uragano che stanotte si è abbattuto su di te lasciandoti senza fiato.

Non respiro.

Qualcuno mi aiuti.

Perché le mie stupide gambe continuano a muoversi?

Non ho un posto dove andare e quando mi fermerò non ci saranno dei vestiti asciutti e un letto caldo ad attendermi, solo le strade buie del mio paese che profumano di mare e dell'erica che cresce sulla costa.

Devio lungo il sentiero che porta alla collina, supero il bosco e mi ritrovo sulla strada in cui fermano gli autobus diretti a Dublino.

Le case tutt'attorno sono silenziose e illuminate solo da qualche tenue luce, a eccezione di una da cui provengono musica e risate.

Il pensiero dell'ultima volta in cui sono stata davvero felice mi attraversa, ma mi affretto a scacciarlo prima che possa farsi troppo doloroso.

Chiudo gli occhi e porto una mano sul petto, dove sento il metallo della catenina col ciondolo a forma di mezza mela premere contro la pelle, nascosto sotto la scollatura. Ed è esattamente così che mi sento da tanto, troppo tempo: spezzata a metà, incompleta e terribilmente sola.

Il cuore batte frenetico sotto la mia mano e mi rimbomba nella testa, lo sento pulsare nelle vene al ritmo con cui risuonano i bassi della canzone che mi raggiunge dall'altra parte della strada. Rallento, trascinandomi fino al cartello che segna gli orari degli autobus.

Mi appoggio esausta alla superficie bagnata e fredda, tentando di riportare il respiro a un ritmo regolare. Sento che le mie gambe stanno per cedere. Sto crollando.

Ma se lo faccio, loro avranno vinto. Se lascio che le emozioni dentro di me esplodano come un sovraccarico di energia, non potrò più rialzarmi.

Mando giù il groppo che mi serra la gola e con il dorso della mano scaccio le lacrime che mi pizzicano gli occhi.

Avanzo oltre il bordo del marciapiede, la suola delle mie Converse entra in contatto con l'asfalto reso scivoloso dalla pioggia. La musica scompare. Freddo. Vuoto. Non sento più nulla.

«Ehi, vuoi farti mettere sotto?».

Una voce si insinua nel silenzio, costringendomi a riaprire gli occhi e voltarmi di scatto. Vedo una figura in lontananza, ma non riesco a metterla a fuoco. Le lacrime mi offuscano la vista e c'è troppo buio.

Avanza verso di me e mi irrigidisco, pronta a reagire se dovesse rivelarsi un malintenzionato. Si ferma a pochi passi da me e si appoggia al palo. È un ragazzo e non deve essere molto sobrio. In mano ha una bottiglia di birra che porta alle labbra per bere un sorso. Reclina indietro la testa, lasciando che la pioggia gli bagni il viso illuminato dal bagliore fioco di un lampione, e chiude gli occhi.

Lo sto ancora fissando quando li riapre e si gira verso di me.

«Andiamo, non ne vale la pena. Sono sicuro che ti ha tradita perché è un insensibile».

«Cosa? No, io non...».

Un clacson attira la mia attenzione e quando mi volto i miei occhi vengono accecati da un bagliore giallognolo.

Non ho il tempo di capire quello che sta succedendo; mi sento tirare per un braccio e in un secondo mi ritrovo sul marciapiede, premuta contro la felpa di questo sconosciuto, mentre la macchina che mi ha quasi investita ci supera con una serie di imprecazioni.

Con uno strattone mi allontano dal ragazzo che mi ha appena salvato la vita. Ora che è davanti a me riesco a vedere chiaramente il suo viso. Gli occhi sono neri come questa notte senza stelle e le labbra sono dischiuse in un'espressione sorpresa.

Ci scrutiamo un istante in silenzio con il respiro accelerato, poi mi lascio andare a una risata isterica. «Sei impazzita? Non c'è nulla da ridere!».

«Scusami, io...»

«Che diavolo ci facevi in mezzo alla strada?»

«Io volevo solo...» prendo un respiro profondo «ero a una festa, sto aspettando un'amica per rientrare a casa e mi è sembrato di vederla arrivare...»

«Hai dimenticato l'ombrello?».

«Cosa?»

«Hai dimenticato l'ombrello?».

«Non sono l'unica, mi sembra». Non ha messo il cappuccio per evitare di bagnarsi i capelli, che ora gli ricadono sul viso in disordinate ciocche scure.

«Vuoi?» mi porge la bottiglia, ma io mi limito a fissarla in silenzio. Beve l'ultimo sorso e la lancia nel cestino.

Per essere sbronzo ha un'ottima mira.

Si siede a bordo strada mentre io resto in piedi, indecisa se chiedergli il cellulare. Non saprei chi chiamare, ma non mi va di stare qui da sola con questo tipo. Sento i suoi occhi puntati sulla schiena.

Devo trovare in fretta una soluzione e l'unica che mi viene in mente è anche l'ultima che avrei mai immaginato di scegliere.

Un battito d'ali [Anteprima]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora