I raggi del sole creavano giochi di luce affascinanti sulla superficie del lago e tra le foglie degli alberi addobbati dalla brina. Il clima di quella giornata era piuttosto mite, nonostante fosse ormai pieno inverno, e uscire fuori per una passeggiata all'aria aperta non sembrava un'idea poi tanto cattiva. I piedini di Henry calpestavano incerti l'erba. Aveva imparato da poco a muovere i suoi primi passi con l'ausilio di un sostegno e presto il timore dovuto alla scoperta della nuova superficie si trasformò in euforia, mentre provava ad accelerare stringendo forte le mani di sua madre. Rideva felice, e il dolce suono della sua risata riempiva il cuore di quest'ultima, che poteva giurare di non aver mai sentito nulla di più bello nella sua vita. Sprizzava gioia da tutti i pori, una gioia contagiosa, perché la visione del piccolo esploratore entusiasta, che sorrideva mostrando due piccoli dentini spuntati da poco, e che si muoveva goffo nella sua mise invernale, era qualcosa che avrebbe sciolto anche il più glaciale dei cuori.
Dopo avergli concesso quindici minuti buoni di camminata semi-solitaria, la mamma decise che poteva bastare. Era felice che il figlio si divertisse e crescesse scoprendo la natura, ma voleva anche che crescesse forte e in salute, e una sudata infagottato in abiti pesanti, mentre il termometro segnava pochi gradi, non era certo un toccasana. Per questo scelse una panchina non troppo distante dallo specchio d'acqua, così da poter permettere al suo ometto di guardare papere e cigni nuotare eleganti, e di bearsi essa stessa della visione del suo sguardo curioso, segno evidente di una spiccata intelligenza. Era già così orgogliosa di suo figlio nonostante avesse solo undici mesi. Per lui immaginava un futuro luminoso, senza le ombre che invece avevano caratterizzato il suo passato, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderlo possibile. Henry era la cosa migliore che le fosse capitata nella vita.
Mentre stava seduto sulle gambe della donna il piccolo batteva le mani ogni volta che notava qualcosa che lo divertiva particolarmente: papere che immergevano la testa nell'acqua per grattarsi e poi la ritiravano su sollevando schizzi; cigni che avvicinandosi tra loro disegnavano cuori; o ancora uccelli che arrivavano in volo e si adagiavano sul piccolo bacino sbattendo forte le ali, e ogni volta cercava di attirare l'attenzione della madre facendo versi comprensibili soltanto a lei, e indicando col dito paffuto l'oggetto del suo interesse. Non sapeva ancora parlare ma sapeva come comunicare con lei, piangendo in modi differenti o pronunciando sillabe a caso come il "Dah" che stava usando in quel momento.
« Che c'è Henry? Ti piace il lago? » Un altro verso e un battito di mani risposero alla domanda. « Ti ci porto tutte le volte che vorrai, se non piove e non fa troppo freddo » e così dicendo gli baciò la testa dopo averla teneramente accarezzata.
Un trillo artificiale e fastidioso interruppe l'idillio.
Dal numero sul display capì che era una faccenda di lavoro e fu costretta a rispondere, nonostante il primo istinto fosse stato quello di ignorare la chiamata. Nel frattempo Henry cominciò a dimenarsi sulle sue gambe, e i "dah" a mescolarsi con dei "tah", "nah","bah". La donna però era concentrata sulla voce al telefono che blaterava di cose urgenti e importanti, di cui in realtà non importava niente a nessuno e che avrebbero potuto attendere tutto il tempo del mondo. Con uno scatto felino Henry riuscì a divincolarsi dalla stretta del braccio di sua madre che tentava di tenerlo fermo per non farlo cadere, e si tirò su quel tanto che bastava per poggiare la sua manina a lato del mento della donna e provare a farla voltare in direzione di ciò che il suo indice stava indicando. La donna diede un'occhiata veloce, senza vedere veramente quello che il figlio voleva disperatamente che scoprisse, e gli disse sbrigativa: « Sìamore. Stai fermo » non soddisfacendo per niente il bisogno di attenzioni del bambino. Allora lui riprovò con più forza nella presa e con un « Mam...ma » che, come una formula magica, ebbe il potere di fermare il tempo e lo spazio.
Il telefono, che adesso se ne stava adagiato sull'erba dopo essere lentamente scivolato dalla mano sinistra della donna, emetteva ancora un suono gracchiante, ma la mente di lei era occupata stavolta da una sola parola, quella pronunciata dall'unico uomo della sua vita. Aveva fantasticato tanto sull'effetto che avrebbe potuto farle sentirsi chiamare "mamma" e aveva trascorso mesi nel tentativo di far memorizzare la parola magica al figlio. Adesso che era arrivato quel momento, riuscire a spiegare o a descriverne la sensazione era semplicemente impossibile, ma sapeva che era molto, molto simile a quella provata la prima volta che aveva tenuto Henry tra le braccia.
Il piccolo sembrò confuso quando vide finalmente sua madre dargli retta, era soddisfatto di aver ottenuto il suo scopo, ma anche perplesso per le lacrime che avevano iniziato a riempirle gli occhi.
« Lo hai detto! Hai detto mamma! Dillo di nuovo... » gli disse speranzosa la donna mentre lo issava per farlo stare in piedi sulle sue cosce di fronte a lei.
E inaspettatamente il prodigio si compì un'altra volta.
Henry ripeté « Mamma » per farle notare che una papera era uscita dallo stagno e stava passeggiando non troppo lontano dalla loro panchina. Poi lo fece una terza volta, una quarta e una quinta e ogni volta che riceveva un bacio sulla guancia, sul naso, sulla fronte e la risata contagiosa di sua madre come ricompensa, per prolungare all'infinito quello che per lui era diventato un gioco divertentissimo.
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There Are Places I Remember
FanfictionDal testo: "Ci sono legami che nemmeno un sortilegio può spezzare, e ricordi che semplicemente non si possono cancellare" Terza stagione, Emma ha recuperato i ricordi ed è stata riportata a Storybrooke, dopo aver vissuto un anno a New York con Henry...