Arrivammo nel rione I.N.A. Casa, in una giornata scura e fredda del 1960, era appena piovuto, l'aria umida e il cielo grigio rendevano l'atmosfera triste e cupa. Guardai per l'ultima volta la casina che un tempo fu dei miei nonni. Il solaio con appese le mele e le pere saturando l'ambiente del loro buon profumo, la scala in legno che portava alla camera dei miei genitori e la cucina dove quella mattina, mio padre fece per l'ultima volta il fuoco nel grande camino. Ci ritrovammo seduti, uno accanto a l'altro, sul cassone del camion di zio Peppino Riola, quasi accatastati, insieme ai pochi mobili che avrebbero arredato la casa nuova.
Il tragitto fu molto breve. Entrando nel rione I.N.A.Casa in via S'Ercaxius, la prima persona che vidi fu Liliana, un'amica di scuola, una bimba che appena mi vide sollevò la manina per salutarmi. Io le sorrisi rispondendo al saluto. In quel rione non c'era l'asfalto ma un continuo di pozzanghere e fango delimitati da lunghi marciapiedi che contornavano i diciotto appartamenti color grigio chiaro. Non ne avevo mai visto di cosi grandi, a noi ne spettò uno con due camere da letto, nonostante fossimo nove in famiglia. Gli appartamenti erano tutti uguali, si distinguevano solo da una camera da letto in più, ed erano destinate alle famiglie numerose. Credo che tutti, venissimo da case vecchie e senza comodità. La prima cosa che mi colpì fu il bagno. Una camera piastrellata di bianco con la vasca, il lavabo e i servizi. Mi piaceva quel candore, quella pulizia e l'assenza di odori sgradevoli, abituata ormai a quelli del " cesso turco" posto nel cortile della casa in cui ero cresciuta, costruito con assi di legno fatiscenti, pieni di crepe e buchi. In quel angusto ambiente, c'era una fossa da dove usciva un fetore infernale che io detestavo. A parte questo, negli anni che seguirono rimase in me una forte nostalgia per quella piccola casa antica. Mio padre prese le chiavi e aprì il portoncino grigio, spingendo il pomello di ottone. Entrammo un pochino intimiditi, le piastrelle di finto granito, le pareti appena imbiancate. La camera da pranzo della nuova casa mi parve grandissima. Decisi di aiutare la mamma, presi la scopa di saggina e mi accinsi a spazzare il pavimento. Avevo otto anni, tanta buona volontà e credo pure tanta sfiga dato che macchiai il muro con la scopa bagnata e presi la mia bella sgridata! La cucina era piccola con uno stanzino adiacente adibito a lavanderia, il sottoscala e uno sgabuzzino, completava il nostro appartamento. La giornata trascorse in fretta, feci la conoscenza di altri bambini e giocai con loro per tutta la giornata mentre i miei genitori scaricavano e riempivano casa di mobili e arredo.
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Noi" Quelli" dell'I.N.A Casa di Fluminimaggiore
Aktuelle LiteraturE' La vita vissuta in un rione chiamato I.N.A Casa, quasi impossibile da descrivere tanto era bella e divertente. Inizia negli anni sessanta e per me finisce nel 1971, quando appena diciottenne mi sposo. In quel rione giochi, liti e amori si suss...