Uno spostamento d’aria, improvviso, mi fece provare un capogiro infinito che non si arrestò fin quando non sbucò Edward da dietro il cespuglio che avevo di fronte. Mi passai distrattamente una mano fra i capelli scuri per dissimulare il senso di nausea che mi lacerava gola, stomaco e mente. Nella mia vita precedente –quella mortale, quella lontana di cui ne ricordo pochi frammenti- mi ero illusa di aver compreso la battaglia interiore che aveva come protagonista il mio amato. Le sue remore per essere stato vicino ad ogni mia vena, la cupidigia ardente che doveva inghiottire per non cedere al suo demone interiore, alla sua natura, tutte le volte che entrava in contatto con la mia pelle. Guidato, forse, da quella forza che lo attirava a me ma che lo allontanava nella medesima intensità.
Beh, lasciate che ve lo dica: avevo torto.
La sete lavava via la ragione, con il suo liquido rosso e stilettante di vita. Non potevo nemmeno concepire la sola idea di dovermene privare eppure, Edward, aveva deciso di risparmiarmi nella mia mortalità nonostante il mostro che risiede nel profondo di ogni vampiro gli suggerisse di uccidermi. Questo mi rese ancora più consapevole dell’amore smisurato ed incondizionato della creatura che mi era davanti, quel giorno, in una delle mie prime caccie.
-“Bella.”, richiamò la mia attenzione con soave vibrazione, sfondandomi i pensieri, mentre con una mano spostava la mia per vedermi in volto. Sentii i suoi occhi tuffarsi nei miei, immensi oceani inquinati di rosso.
Di desiderio. Di fame. Di sangue.
-“Edward”, lo imitai in una sorta di preghiera,-“davvero possono cavarmela. Ho avuto solo un capogiro.”.
-“Sei così pallida…”.
-“Oh! Beh, questa è davvero una bella battu..”.
-“No, Bella”, m’interruppe, sfoderando il suo leggendario sorriso sghembo, nonostante avesse un’espressione tremendamente seria.
-“Ho vissuto, visto e conosco lo stato in cui sei caduta vittima. Sei assetata –molto assetata- e dobbiamo trovarti un animale prima di subito.”, suggerì, riprendendo ad ispezionare la fitta vegetazione in cui eravamo soliti cibarsi, spingendo il suo sguardo oltre il proprio campo visivo pur di placare la mia sete.
Ad ogni modo, Edward aveva ragione a metà: la mia era sete –sete, sete, sete- ma non aveva la placida intensità delle volte scorse; la scarsa esperienza, tuttavia, non si lasciò ingannare poiché anche uno stolto poteva rendersi conto che quella volta non era un bisogno capace di esser domato con del semplice sangue animale.
Scrollai il capo per togliermi di dosso quelle riflessioni, avvertendomi pericolosamente vicina al baratro della pazzia.
-“Laggiù!”. Edward si lasciò andare ad un grido di esultanza, puntando i piedi verso ovest. Lo imitai ingollando a fatica il veleno che fungeva d’acquolina.
Sfrecciammo come schegge evanescenti da albero ad albero, superando confini, tracciando il passaggio. L’aria di grasso che si levava dalla terra umida al nostro passaggio mi inondava le narici contribuendo ai miei poco vampireschi giramenti di testa. Mi permisi di chiudere gli occhi poiché la bussola invisibile dei miei piedi era in grado di condurmi anche al buio, i miei sensi incredibilmente fini quando… di colpo, andai ad urtare la schiena di Edward. Barcollai all’indietro, presa di contropiede.
-“Perché ti sei fermato?”.
Prima che potesse rispondere vidi la sua mandibola scattare.
-“Non possiamo proseguire, Bella. Sono spiacente.”.
-“Come sarebbe a dire?”.
Dalla mia gola gorgogliò un ringhio di protesta e mi aggrappai al corpo di mio marito, talmente in tensione da essere saldo come quello d’un soldato.
-“Non sono sicuro sia un animale, meglio non rischiare.”, sussurrò, cupo. Fui percorsa da un lungo ed intenso brivido su per la spina dorsale; non tanto perché l’allusione di Edward si riferiva al fatto che avrei potuto ucciderlo –visto il mio stato- , ma per via dell’eccitazione che provai nel pensarlo.
Ad assaggiare sangue umano, intendo.
-“Andiamo a vedere comunque.”, lo esortai, posando le labbra aride sul suo collo freddo e liscio. Lo sentii scuotere impercettibilmente il capo.
-“Bella, potresti perdere il controllo.”.
Ma io l’ho già perso!, gridai mentalmente, dando voce all’ultimo brandello di razionalità che sembrava volersi ancorare alla speranza di una rinsavita in extremis.
-“No, Edward”, insistetti, non lasciando presagire la mia guerra interiore,-“se non siamo sicuri che sia un animale ti prego –ti prego- andiamo a controllare. Possiamo sempre tornare indietro.”.
-“E va bene”, concesse, tornando a guardarmi dritto negli occhi,-“e se tale non dovesse rivelarsi so che sapresti dominarti. Io mi fido te, amore mio.”.
Quelle parole furono la menzogna più grande che Edward potesse rivolgermi; persino più grande di tutte quelle con cui mi aveva saturato le orecchie nel giorno in cui ebbe la straordinaria idea di abbandonarmi a Forks.
E me ne resi conto solo pochi minuti dopo aver proseguito il nostro cammino.
Preferirei non poter riportare alla memoria quell’episodio, ma che menzogna sarebbe dirvi che preferirei non averlo davvero vissuto.