Capitolo III - Memoria

158 35 20
                                    

La prima cosa di cui fui cosciente al mio risveglio fu un dolore lancinante alla testa.

Mi ritrovai distesa, in una posizione alquanto scomoda, su un divano ricoperto da una pungente coperta di lana verde. Ero ancora vestita.

Prima che potessi iniziare ad agitarmi, una voce familiare risuonò in quell'angusto salotto.

«Buongiorno, finalmente!»

Silvia, l'anziana inquilina del piano sotto il mio, apparve nella stanza, stringendo una tazza fumante tra le mani paffute.

«Mi sono permessa di prepararti il caffè» annunciò, posando la tazza sul tavolino davanti a me. La testa continuava a dolermi e, se non fossi stata così frastornata, sicuramente mi sarei alzata in preda ad una crisi isterica, angosciata dal fatto che non sapevo per quale ragione mi trovassi in quella casa.

Mi sfiorai la fronte con due dita e sentii un tessuto ruvido che mi cingeva la testa. Rivolsi a Silvia uno sguardo interrogativo e lei, con atteggiamento severo, si sedette accanto a me, tenendo tra le braccia il suo cane, Lilla.

«Che cosa hai combinato ieri notte?» domandò, scrutando il mio volto attraverso gli occhiali quadrati.

«Di che cosa stai parlando?» le chiesi, ignorando il suo comportamento fin troppo materno nei miei confronti.

Silvia si lasciò andare ad un gesto di impazienza.

«Benissimo! Non ricordi proprio nulla! Questa mattina sono uscita di casa alle sei per fare una passeggiata con Lilla e ti ho vista a terra, nel mondo dei sogni, con un bel livido sulla fronte. Per fortuna, poco dopo, è arrivato quel sant'uomo del portiere che ti ha portata qui. Ti ho già dato un'occhiata alla testa, non dovresti avere problemi.»

Quando la voce di Silvia si spense, nella stanza dominò un silenzio spettrale. Non ricordavo quasi niente della notte precedente, dovevo cercare di assimilare quelle informazioni.

Mi tornarono in mente le immagini del salone del municipio e della cena, ma non mi sovvenne nulla che potesse chiarire i dubbi che si erano annidati nella mia mente. Era una situazione snervante.

Il suono di un campanello mi fece sobbalzare, Silvia andò ad aprire e, dopo qualche secondo, Ugo fece la sua comparsa nell'ingresso. Mentre abbandonava senza tante cerimonie il suo zaino sul pavimento, mi rivolse un'occhiata interrogativa:

«Amelia» domandò. «Che cosa è successo? Ho ricevuto la chiamata di Silvia e...»

«Ti spiego tutto io.»
Silvia assunse una postura solenne, portando le mani sui fianchi, e si lanciò nella descrizione dettagliata di tutto ciò che riteneva mi fosse accaduto.

Ugo si mostrò attento e interessato al racconto, ma di tanto in tanto mi rivolse qualche sguardo penetrante e a tratti divertito.

«Per fortuna l'hai trovata tu, Silvia» commentò lui, alla fine del racconto. «Se l'avessero trovata i cani del portiere...»

La formidabile settantenne, dopo aver versato qualche lacrima per via della sconsideratezza dei giovani, ci lasciò tornare a casa nostra, salutandoci come se stessimo per partire per un viaggio senza ritorno.

Ugo mi posò una mano sulla spalla e cominciò ad esaminare il mio volto, in cerca di qualcosa che tradisse la mia apparente tranquillità.

«C'è qualcosa che non torna. Non hai aperto bocca per tutto il tempo, e questo non è da te» esordì infatti, con tono sicuro. «Che cosa è successo?»

Il fatto che lui non avesse creduto alla convincente storiella di Silvia, secondo la quale ero tornata a casa sotto l'effetto di sostanze illecite, mi rincuorò e, pertanto, mi risultò facile spiegare la situazione.

«Non ricordo niente, ma sono sicura di essere stata lucida ieri notte. Fai bene a non credere a quello che ti ha detto Silvia. Non è vero, te lo garantisco» biascicai, sperando che mi capisse e, soprattutto, che non avesse dubbi riguardo al mio comportamento.

«Mi credi?» domandai, infatti.

«Ti credo. Però dobbiamo andare in fondo a questa faccenda. Non è normale avere dei vuoti di memoria come questo. Ne so qualcosa, purtroppo. In ospedale ne vedo di tutti i colori.»

«Posso immaginare» dissi soltanto.

«Dovresti anche farti controllare la testa. Silvia ha rischiato portandoti in casa sua senza accertarsi delle tue reali condizioni. Ti accompagno io dal medico, oggi riceve di giorno, giusto?»

Mentre Ugo parlava, un cane cominciò ad abbaiare furiosamente sotto la nostra finestra, seguito a ruota da un altro.

«Quel maledetto portiere!» sibilò lui, prima di catapultarsi in giardino. «Se i suoi cani mi rovinano di nuovo la moto gliela faccio pagare!» strillò.

Ugo riuscì, con qualche sforzo, ad allontanare i cani dalla moto, e, muovendosi per rientrare in casa, si soffermò a guardare le piante che avevo spezzato cadendo.

Improvvisamente, si chinò sull'aiuola e raccolse qualcosa di bianco. Esaminò l'oggetto per qualche secondo, poi sfrecciò verso la nostra porta e la tempestò di pugni. Entrò in casa, senza proferire parola. Inizialmente, pensai che fosse uno dei suoi soliti scherzi ma poi, quando notai il pallore che gli aveva sbiancato il volto lentigginoso, cominciai a sentire una sensazione sgradevole impadronirsi di me.

«Cosa? Che cosa hai trovato?» chiesi, con il cuore che mi martellava nelle orecchie.

Ugo, con il volto che non tradiva espressione alcuna, mi porse il biglietto. Trovai una mia foto recente, comparsa qualche giorno prima sull'Eco del giorno.

In basso, scritto con inchiostro rosso, c'era un messaggio:

Tutti nascondono dei segreti.

Io so il tuo.

Non potevo negarlo, il fatto che non ricordassi cosa fosse accaduto era veramente un problema.

A casa da solaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora