Babbo, mi devi aiutare, la maestra mi ha dato un tema troppo difficile per domani.
- Esagerata, come sempre. Leggimi la traccia.
- "Descrivi la tua mamma e il tuo papà".
Lo sapevo. Lo sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Non ho mai capito perché c'è sempre qualche maestra che vuole sapere come sono i genitori dei suoi alunni, ammesso che gliene freghi qualcosa. Perché invece non chiedono mai di descrivere il cane o la camera da letto, che tra l'altro ci sono costati un mese di stipendio ciascuno. All'improvviso, zitto e imbambolato, davanti agli occhi azzurri di Alida che mi fissavano, mi sembrò di essere tornato all'università, all'esame di procedura civile, quando la mia preparazione copriva poco più della metà del programma ed io ero lì seduto e tremante, con le dita incrociate sotto le gambe a guardare il professore che guardava il mio nome sul libretto, sperando che non mi chiedesse il regolamento di competenza, perché non mi ricordavo minimamente cosa fosse. E infatti poi, naturalmente, procedura lo rifeci a luglio.
Mi sentivo impreparato, di nuovo. Ed è brutto non saper rispondere a chi si aspetta da te qualcosa, come il mio professore, per esempio, che mi liquidò inclinando leggermente la testa verso sinistra, in direzione della porta, senza neanche dirmi ciao, tanto era stato grave il mio affronto, da risultare immeritevole persino di un saluto. Ma soprattutto è brutto non saper rispondere a chi si fida di te e ti ama a tal punto da dare per scontato che tu possa e sappia rispondere a qualsiasi domanda, come mia figlia, per esempio, che mi sta ancora guardando e anche lei sta inclinando leggermente la testa verso sinistra. Chissà quanto deve trovarmi stupido, assorto in questa espressione assente, con il grembiule addosso, un piatto in una mano e l'asciughino azzurro nell'altra. Ma a volte dimentico quanto sia speciale Alida e quanto io ne sia innamorato, per questo mi prenderei a schiaffi ogni volta che, come adesso, la vedo inclinare la testa e dopo qualche secondo correre ad abbracciarmi, per rassicurarmi e dirmi che mi ama anche lei e che non fa niente se non so rispondere, ci prova lei a fare il tema, babbo, ma dopo scendiamo a prendere un gelato?
La vidi scomparire di colpo nella sua stanza, con il sorriso più bello del mondo, i suoi calzini arancioni antiscivolo, e lo zaino di scuola mezzo aperto. Così, mentre ascoltavo il rumore dei suoi passi, che quando corre diventano pesanti e rimbombano in tutto il corridoio, pensavo che Alida era davvero la vittoria più grande della mia vita.
Io sono un avvocato penalista, lavoro in uno studio associato, ho alle spalle la stessa lunga e faticosa carriera della maggior parte dei laureati in legge, una lunga lista di passività nel bilancio della mia esistenza, tante ferite non disinfettate e porte chiuse, vicoli ciechi e divieti di accesso. Ho trovato la mia strada soltanto quando credevo di non averne più una, nel momento esatto in cui, in preda alla rassegnazione, mi ero convinto di non aver diritto alla felicità. E forse tutto è stato complicato dal fatto che oltre ad essere un avvocato penalista, che lavora in uno studio associato, sono un avvocato penalista omosessuale.
Per avere Alida ho sposato una donna davanti a Dio e ho fatto tutto secondo la legge, quella civile e quella divina. Ho violato solo quella morale. Così, come da copione, ho fatto piangere mia madre quando le ho annunciato le nozze, mentre tagliava la lasagna una domenica a pranzo, ho comprato il vestito, ho scelto le bomboniere e convenuto con la mia sposa che le azalee sui tavoli del ristorante stonavano un po' con tutto il resto dell'arredamento floreale. A parte questo, è stato un matrimonio bellissimo e la mia finta sposa era davvero meravigliosa. Certo avrebbe meritato molto più di quella messa in scena, ma quando la misi davanti alla prospettiva di poter avere un mantenimento vita natural durante per fare la parte di mia moglie, accettò subito dopo avermi chiesto cosa significasse vita natural durante, perché non era sicura di aver capito.
Aveva capito benissimo, invece. Doveva solo prestarmi il suo nome, firmare, autorizzare, concedere, negare, diventare a tutti gli effetti e per tutti la signora Cavuoto, la moglie dell'avvocato che abita al secondo piano del palazzo di Viale Mentana. Io le avrei bonificato la mia promessa tutti i mesi, avremmo adottato Alida e lei subito dopo sarebbe partita per Londra, dove ufficialmente aveva trovato lavoro in una grande multinazionale, ma ufficiosamente avrebbe fatto la spogliarellista in un night club di Notting Hill. Ogni tanto le faccio un biglietto per tornare, così da rendere credibile la nostra storia.
Intanto, divido l'appartamento e la vita con Alfredo. Ci divido il letto, il frigorifero, la lampada di nonna, il divano dell'Ikea, le tazzine che cambiano colore con la temperatura, le mensole in salotto, il dentifricio e l'amore di Alida. Ufficialmente viviamo insieme perché gli affitti a Milano costano troppo persino per un avvocato, come me, e per un funzionario dell'Agenzia delle Entrate, come Alfredo. Ufficiosamente siamo una famiglia di fatto o una forma di unione particolare, come ci definisce qualcuno. In sostanza, una cosa che non ha alcuna rilevanza dal punto di vista giuridico e che, pertanto, non esiste. Il mondo non ci conosce, siamo prigionieri di noi stessi e di un Paese incatenato al controsenso, che dice che siamo tutti uguali ma che ha paura del diverso. È la storia che si ripete, siamo moralmente ghettizzati e confinati ai margini di una società che non ci vuole, siamo uno scherzo della natura, un errore di Dio, una minoranza, la deviazione alla normalità. E ci sono solo due modi per sopravvivere. Ribellarsi al sistema e chiedere giustizia, sfilare nelle piazze, indossare un braccialetto arcobaleno, invocare il diritto alla felicità, sbandierando cartelloni con su scritto "freedom". Oppure ingannare il sistema e farsi giustizia da sé, costruendo una vita che non esiste, fingendosi normali agli occhi del mondo per ripagarlo con la stessa indifferenza con cui ci tratta.
Ma forse adesso tutta questa rabbia non ha più importanza. Sono le tre del pomeriggio, Alida sta facendo il tema e io aspetto che Alfredo torni dall'ufficio. Sto con lui da 12 anni. Credo di averlo scelto perché rappresenta esattamente tutto quello che io non sono, incarna, impersona tutto quello che vorrei essere io. Lui prende la vita come viene, seleziona i file della memoria e decide se resettarli o salvarli in una cartella protetta. Io sto tre ore davanti allo schermo, senza avere il coraggio di cancellare niente, per cui metabolizzo e inghiottisco tonnellate di bile.
- "Mannaggia, ma questo cane sempre qua deve stare?!"
Questa è solitamente la frase con cui Alfredo apre la porta di casa, mentre incespica tra i saltelli di Tabù che è contento di vederlo tornare. Siamo abitudinari, per cui la scena è spesso simile. Io che rido sotto i baffi perché penso che prima o poi cadrà di lungo, lui che ribadisce per l'ennesima volta che il due euro era caduto dalla parte di Dante e che quindi aveva vinto lui, dovevamo prendere i pesci per l'acquario tropicale, non il cane. E mentre gli rispondo che la moneta aveva dato ragione a me e che ero al corrente del suo tentativo meschino di imbrogliarmi, lui mi sorride a denti stretti, posa la borsa, si siede affianco a me, mi chiede se sto bene e come è andata la giornata.
Poi corre da Alida. Così lo vedo sparire per almeno venti minuti, mentre nel corridoio si sentono le loro risate, l'eco di una felicità che non mi sembra neanche di meritare. Appena è tornato in cucina gli ho raccontato del tema e della paura che avevo, della figura da imbambolato che avevo fatto.
- "Ahahahahhah, si me lo ha detto. Secondo me nel tema dovrebbe scriverci che vive in una famiglia anormale, considerato che ha un padre che il sabato sera invece di ordinare birra scura beve succo d'arancia!"
- "Ero serio"
- "Pure io! Ahahahha"
Giuro che è capitato solo una volta, ma me lo rinfaccia tutte le volte che può. Del resto ci siamo conosciuti cosi, un sabato sera, nel bar più in voga della movida milanese, quando effettivamente ordinai un succo d'arancia, ma solo perché stavo seguendo una dieta macrobiotica, per cui pensavo che se ormai uno sgarro dovevo farlo, lo zucchero della frutta sarebbe stato sicuramente meno dannoso dell'alcool. Ho ripensato a quella scena che, per quanto comica, era valsa almeno a presentarmi il mio compagno di vita, e nel frattempo ho raccolto la giacca, i fascicoli, le chiavi della macchina e chiamato l'ascensore. Ho salutato Alida e le ho promesso che appena sarei tornato da lavoro saremmo andati tutti a prendere il gelato da Bakery. Ma solo dopo aver letto il tema e solo se mi fosse piaciuto.
Al mio ritorno, mi fece trovare il quaderno aperto, in bella vista, sulla penisola della cucina, con accanto un bigliettino che diceva "l'ho fatto corto, così scendiamo prima a prendere il gelato". Ma, per quanto corto, non so quanto tempo ho impiegato a leggerlo.
I miei genitori sono babbo e papà. Babbo fa l'avvocato e torna sempre tardi la sera, ma io lo aspetto sveglia perché così mi racconta la favola della buonanotte. Spesso è pensieroso e triste. È successo da quando una volta un signore in tv ha detto che i bambini hanno diritto ad avere una mamma e un papà. Ma si sbaglia quel signore perché io la mamma non la voglio, perché i genitori ce li ho già e sono i più fantastici dell'universo. Poi Paolo, il mio compagno di banco, ha detto che la sua mamma e il suo papà litigano e lui a volte non riesce neanche a dormire per le urla. E la mattina, quando si svegliano, ancora non hanno fatto pace e la sua mamma non gli fa mai i pancakes per colazione. Invece a casa mia nessuno urla e il mio babbo sa fare dei pancakes con le fragole che sono buonissimi e io non lo cambierei mai con nessuna mamma di nessun bambino del mondo. Papà Alfredo, invece, torna presto da lavoro perché fa l'impiegato di un'agenzia che controlla se le persone pagano le tasse, però i controlli li fanno solo fino alle 3, poi lui torna a casa e mi aiuta a fare i compiti quando non ci riesco. Mi diverto tanto con papà perché è simpatico e mi fa fare due volte merenda, poi dopo i compiti, se è estate, andiamo alle giostre dietro casa, ma se è inverno guardiamo i documentari sugli animali che mi piacciono tanto. Lui non è pensieroso come babbo, anzi dice che nella vita dobbiamo sempre essere felici, anche quando siamo tristi. Però non ho capito bene come si fa. Papà dice che quel signore in tv pensa che noi non siamo una famiglia normale. Io penso che quel signore non capisce molto, perché non sa che la mia famiglia è bellissima e che i bambini sono di chi li ama, che a me non manca la mamma, che io sono felice perché voglio esattamente quello che ho, un babbo e un papà.
Sono rimasto a pensare a quel tema tutta la sera. Rileggevo mentalmente le parole, che prendevano forma e consistenza davanti ai miei occhi, sotto il mio sguardo, che lentamente si appannava di un pianto felice. È stata la più bella dichiarazione d'amore che potessi ricevere, mi sembrava una poesia, il risarcimento di tutto il veleno ingoiato nel tempo. Quelle frasi e quei pensieri sgrammaticati mi avevano completamente disarmato, erano diventati felicità tangibile, di quella specie rara che si vede e si tocca sulle cose, nelle cose e dentro noi stessi. Ripensavo a quelle parole mentre mangiavamo il gelato, mentre tornavamo a casa, mentre chiudevo il portone a chiave, ma soprattutto mentre firmavo la giustifica con cui Alida il giorno dopo avrebbe detto alla maestra che per problemi di salute non aveva potuto fare il tema.
"Ma perché, babbo, perché non posso farlo leggere alla maestra?"
"Perché altrimenti ti portano via, Ali. Ricordi cosa ti ho sempre detto? Non possiamo dire agli altri che siamo felici così, dobbiamo raccontare la nostra favola, quella che ti racconto tutte le sere, di mamma che vive a Londra, ma che ti pensa sempre e non vede l'ora di riabbracciarti."
"Ma non è vero!"
"Neanche noi siamo veri, Ali. Noi esistiamo solo tra le mura di questa casa. È il prezzo che ci hanno chiesto di pagare per restare insieme. In Italia non si può, amore, un bambino non può avere due papà"
"Ma neanche se è felice con due papà?"
"No. Neanche se è felice con due papà."
Le ho dato un bacio sulla fronte e sono uscito dalla stanza. Per un attimo quasi mi sono sentito in colpa per essere quello che sono e ho chiesto a Dio di giustificarmi per essere nato così, innamorato di un altro uomo che, come me, non poteva fare da mamma ad Alida.
Non so se Dio mi abbia ascoltato, se le porte del cielo sono aperte veramente anche ai diversi, se meritiamo un posto, nonostante quello che siamo. Ma so per certo che su questa Terra la giustifica più importante me l'aveva firmata mia figlia, quel giorno, in un tema che la maestra non ha mai potuto leggere. E forse è meglio così. Noi grandi non siamo bravi come i bambini ad amare gli altri per quello che sono. Noi spesso sbagliamo preposizione, amiamo nonostante. Ma non è la stessa cosa.
STAI LEGGENDO
La giustifica
Short StoryAlida è una bambina vivace e allegra, che un giorno torna a casa da scuola e si ritrova costretta a fare i conti con la realtà, accorgendosi di essere "diversa", perchè figlia di due papà...