ALI NERE

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Il cielo stellato pareva un enorme schermo scuro, tempestato da occhi luminosi e maligni. A volte mi vengono delle strane idee, e quella sera la mia fantasia virava al macabro più del solito, e con impressionante facilità. Staccai a fatica lo sguardo dal cielo notturno, e tornai a posare gli occhi sulla folla che mi circondava. Il concerto sarebbe iniziato da lì a poco, l'eccitazione era nell'aria. La gente non la smetteva più di chiacchierare e canticchiare, urlare il proprio entusiasmo e fare stupidi scherzi. Dal canto mio ero già da un po' estraniato dagli amici, perso nelle mie fantasiose meditazioni.

Avvertivo una sensazione sgradevole diffondersi in me, come una malattia; cominciai a sudare freddo, e non riuscivo a capire cosa diavolo mi stesse succedendo. Dominai a stento un attacco di panico. Un presentimento oscuro, folle, dominava i miei pensieri, sempre più bui, sempre più allucinati. Volevo andarmene, e stavo per dire agli altri che stavo male, malissimo, che rischiavo un infarto... Sarei stato disposto ad inventare qualunque fandonia pur di andarmene da lì... Ma non lo feci. Da quel giorno mi maledico per quella mancanza di coraggio.

Lottavo ancora con me stesso, quando i Black Wings salirono sul palco. La folla ammutolì all'istante. Non sembravano affatto delle rock star: per quanto maledetta fosse sempre stata la loro immagine, avevano superato qualunque limite di decenza. Non erano più dei musicisti metal, ma dei demoni travestiti da umani. Mi trovavo nelle prime file, e potei guardarli piuttosto bene: il batterista si era rasato il cranio, spellandosi lo scalpo in modo osceno; il bassista lacrimava sangue, e il chitarrista solista era così magro, da parere un scheletro ricoperto da un fragile strato di pelle. Probabile che fossero solo dei trucchi, ma funzionavano dannatamente bene.

Il cantante, Joe Zombie, indossava una lunga tunica nera, da sacerdote rinnegato, che arrivava a toccare il pavimento del palco, celandogli persino i piedi. Mostrava un'espressione impudente, che si aprì in un largo sorriso soddisfatto, truce quanto i suoi occhi, neri come il cielo che ci sovrastava. Impugnava una chitarra di un bianco che faceva male agli occhi, se la si guardava troppo a lungo.

Non dissero una parola, e attaccarono subito a suonare. Era una canzone nuova, che nessuno conosceva. Eravamo tutti perplessi, ma dopo qualche nota l'entusiasmo prese a serpeggiare fra il pubblico, e l'atmosfera tornò ad essere quella di qualunque altro concerto. Ma il sottoscritto non riusciva a calmarsi.

Udii suoni di una malvagità purissima, alieni a qualsiasi umano, anche al più efferato assassino. Erano combinazioni di accordi che ferivano le orecchie e l'anima, nate da una volontà di distruzione ferma e disumana, che portavano alla follia. Forse era solo la mia fantasia, che galoppava più del solito, forse ero vittima di un attacco isterico, forse consumavo troppe droghe... Forse. So solo che ebbi paura, come mai prima. Mi tappai le orecchie con forza, a farmi male, in un atto disperato che era puro istinto. Fu quel gesto banale a salvarmi. Avevo ascoltato solo un paio di riff, e mi ero protetto le orecchie subito prima che quel maledetto Zombie iniziasse a cantare.

Attutite, smorzate, riuscii comunque a captare qualche parola, un'orrenda cantilena che torna spesso nei miei incubi. Mi sentii scuotere le viscere, lacrime di dolore scivolarono pigramente sul mio volto terrorizzato. Non riuscivo a smettere di urlare.

Tutto intorno a me era inferno e sangue: il pubblico era impazzito, tutti cercavano di uccidersi l'un l'altro... Vidi un ragazzino di nemmeno tredici anni azzannare alla gola un tizio grande e grosso, come un cane rabbioso che non si stacca dalla preda; una donna si artigliava gli occhi, dimenandosi come un'ossessa; un tizio armato di coltello apriva la gola a chiunque gli capitasse a tiro... Migliaia di persone si lasciarono andare ai propri istinti più insani e perversi, il pubblico si era ormai trasformato in una gigantesca massa di carne urlante e sanguinolenta.

Ancora oggi non so spiegarmi come ne uscii perfettamente illeso. So soltanto che prima di svenire guardai in direzione della band, e incontrai lo sguardo morbosamente compiaciuto di Joe Zombie, evidentemente entusiasta degli effetti della sua canzone. Mi sorrise, le sue labbra viola si arricciarono in un ghigno beffardo diretto proprio a me, non c'erano dubbi. Era troppo. Persi i sensi.

Quando mi riebbi, la prima cosa che provai fu una sensazione di disgusto. Un odore penetrante, una puzza di morte ristagnava pesante nell'aria, ammorbandola. Mi alzai a fatica, le gambe mi reggevano a stento. Davanti ai miei occhi stupefatti si spandeva una massa senza fine di carne mutilata: lì dove avrebbe dovuto esservi un pubblico festante, rimanevano solo morte e distruzione. Un solo altro individuo era ancora vivo.

Joe Zombie.

Si era tolto la tunica blasfema, rimanendo nudo, eccetto un paio di pantaloni di pelle nera. I piedi scalzi affondavano con noncuranza nei cadaveri e nel sangue, il petto e il volto erano macchiati di rosso, alcune striature vermiglie attraversavano i lunghi capelli corvini. Ero sicuro che si fosse tuffato in mezzo ai cadaveri, inebriandosi di quel massacro.

Mi raggiunse senza dire una parola. Sotto quello sguardo magnetico mi sentivo annientato. Eppure trovai la forza di chiedere: - Perchè? -

La mia voce era solo un flebile sussurro. I suoi occhi scuri e vuoti scavarono nei miei.

- Perchè è la mia volontà, è la mia natura... Volevo che imparaste a soffrire come io soffro. -

Mi voltò le spalle, e sulla schiena gli vidi i tatuaggi di due grandi ali nere, nella forma simili a quelle dei pipistrelli. Allargò le braccia in un gesto che era pura potenza, e quelli che sembravano tatuaggi si spiegarono come due immense e mostruose ali nere. La creatura d'incubo prese il volo, perdendosi nel cielo notturno, un'ombra solitaria che si confuse col buio della notte.

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