Aspettavo da così tanto tempo quel giorno; JinHwa mi raccontava con un sorriso sornione tutti gli aneddoti che conosceva a riguardo, mamma mi accarezzava dolcemente i capelli nei momenti di insicurezza e papà... Papà non ebbe mai il coraggio di dire qualcosa. Non lo biasimo. Non lo incolpo. Che io possa essere libera di raccontare al mondo ciò che mi pare e piace!
Io racconto di un corpo fatto di incomprensioni, di scherzi finiti in malo modo e di baci consegnati a labbra strette. Che pezzenti, quelli che ci hanno rinunciato ancor prima di provarci. Avrei dato l'anima, il corpo, la mente per poter far segno e dare un senso ai giorni miei. Ho vent'anni e mi hanno abbandonato in molti; mi piace cadere nel pessimismo e avvolgermi gli occhi di un velo malinconico. In realtà, sto da Dio. Così da Dio che, nelle aule dell'ateneo che frequento, scossa dalla confusione e dal vociare insopportabile dei numerosi presenti, mi metto a piangere. Così bene che la mattina vorrei ammuffire tra i cuscini del divano. E, vi giuro, sto così bene che, su cento, i miei tentativi di suicidio sfiorano appena il numero settanta. Pochissimo, in confronto all'anno scorso. Oh, l'anno scorso, che anno di merda! Tutti i concorsi a cui ho partecipato sono falliti e la fantasia di poter continuare Medicina è morta con la mia curiosità verso il nuovo ambiente. Un anno così di merda che cuore, cervello e organi hanno deciso di innamorarsi, privandomi di dare un concreto consenso alla faccenda, di un perfetto sconosciuto. Uno sconosciuto così sconosciuto che più sconosciuto non si può. Vi giuro, io sono ripetitiva. E, vi giuro ancora, io andrei da uno psichiatra se potessi permettermelo. Ma quando i miei occhi si son posati sul corpo di quello sconosciuto, che attualmente sconosciuto più non è, ho pensato che la follia con cui ho sempre combattuto, dalla mia tenera età, avesse appena preso una nuova forma, un nuovo corpo: si era tramutata in lui! Ed io ne ero certa! Ne ero certa! Avevo smesso di ballare e lo avevo osservato, forse senza prestare attenzione a quanto potessi essere sembrata invadente. Lui ricambiava i miei sguardi. E ancor prima di amarlo, l'odiavo. Dalle viscere del mio io più nascosto, più segreto, più impetuoso, l'odiavo con una furia inumana. Lui, lui era lei. Lui era la mia follia. Lui mi faceva impazzire. Io ero fuori di testa. Io ero fuori di testa per lui!
Hong Dabin è il suo nome. I miei malesseri hanno l'aspetto di un giovane poco più adulto di me, dall'aspetto curato e alla moda, un po' sbandato per certi versi e arrogante per altri. Ha un atteggiamento spavaldo e sicuro di sé; sicuro proprio come lo sono io del fatto che stia solo camuffando bene il suo lato sensibile. È poco più alto di me, una statura impeccabile. Un viso che probabilmente affascinerebbe chiunque: occhi affilati, labbra carnose. Ma è la sua voce a farmi impazzire. Un giorno, mi raccontava della sua settimana e l'unica cosa a cui potevo pensare, mentre fingevo di ascoltarlo, era a quanto fosse arrappante, sexy, micidiale, violenta e profonda la sua voce. Mi chiesi se il destino ce l'avesse con me, se la sfortuna avesse deciso di divenire mia amante a mia insaputa. E mi chiesi se fosse giusto che la mia Follia avesse un aspetto così inebriante, se fosse un messaggio che volesse dire "JinHye, lasciati andare". E tuttora mi chiedo perché la mia Follia esplori il mio corpo con una passione meschina, perché mi parli di Hegel, perché nei momenti meno opportuni faccia riferimenti al pessimismo di Verga, perché mi baci come se fosse l'ultima volta; perché mi vuole? E perché io lo desidero con così tanta foga? Perché ho abbracciato i dispiaceri che un tempo avrei rifiutato? Perché mi sono fatta ingannare da un bel viso? Perché ho lasciato che le mie debolezze prendessero di nuovo il controllo del mio corpo?
Forse io amo la mia Follia. Forse io amo Hong Dabin. Forse io amo la sua voce, come mi tocca, la sua passione per la musica, i tè caldi, le luci spente e il ronzio del frigo. Forse amo tutto questo. Forse amo la pazzia e forse amo essere pazza. Non posso saperlo. So solo che definirsi pazzi è un segno di lucidità, ma tutti continuano a puntarmi il dito contro. Tutti alzano il medio verso di me. Tutti mi odiano, quanto io odio amare Dabin. E quanto io odio precipitare inesorabile in questo inferno di colpe sfiorate.