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> B e n v e n u t o!

> E' l a   t u a  p r i m a   v o l t a   c o n   n o i ?

> T i   s p i e g h e r ò   t u t t o   i o ,  i l   t u o  n u o v o  c y b e r b o y .





Jimin, illuminato solo dallo schermo del suo pc, legge varie volte la scritta sullo schermo: "Il tuo nuovo cyberboy". Caspita, Jimin, a cosa ti sei ridotto.








Jimin ha sempre odiato stare da solo, ha sempre odiato il silenzio che lo accoglie ogni giorno a casa, ha sempre odiato le sue piante perché stanno lì, ferme, si lasciano baciare dal sole ma non aggiungono altro. Non rispondono alle sue domande.

Jimin sogna da tempo qualcuno che gli risponda, qualcuno che si sieda al suo fianco e gli dica cosa pensa, cos'ha fatto, di cosa profumano le sue coperte e che dolci preferisce. Parlare di ciò che capita, anche quando non capita niente, parlare per il gusto di sentire la propria voce: cosa che fa Jimin, ogni giorno, da solo.





Un giorno ha detto basta.




Da poco in commercio girano delle cassette, di quelle piene di polvere da mettere nei vecchi videoregistratori, contenenti i "cyberboy". Questi sono nient'altro che ologrammi, figure su uno schermo, ma che hanno nella loro memoria cibernetica un totale di frasi da poter dire, per poter rispondere, conoscenza sociale basilare e movenze quasi umane. Per restare fedeli al nome, quindi, sono ragazzi cibernetici; immagini fredde che riescono a riscaldare giornate vuote.



"Che tristezza," sussurra Jimin quando si ritrova ad acquistarne uno, anche a caro prezzo, ma non ha altre opzioni.


L'ha trovato di notte, in uno di quei negozi dall'insegna al neon e troppi segreti fra gli scaffali: c'è più polvere che prodotti, pensa il ragazzo mentre entra, non si stupirebbe di trovarci cadaveri. Il negozio è vuoto, la zona non è delle migliori, a Jimin sembra di star comprando qualcosa di assurdamente illegale, quando in realtà cerca solo un amico.

Il signore dietro la cassa, una settantina d'anni intrappolati fra le rughe, si accarezza la barba incolta e assottiglia lo sguardo. "Mio figlio dice che la gente ha paura di mostrarsi miserabile", mormora.

Jimin annuisce piano. Può capire il perché queste cose vengano vendute in luoghi così sperduti: comprarlo vale a dire ammettere di essere soli, disperati, disposti a parlare con un computer, un'immagine fittizia. E la gente non è fatta per ammettere la verità.

A Jimin non importa, per quanto la visione generale sia così, lui invece ritiene i cyberboy come una cosa semplicemente bella –un amico trovato-, niente di male nel voler parlare con qualcuno. Anche se questo qualcuno è fatto di codici e frasi standard, anche se non può sentire davvero i tuoi cambi di tono e come stai.

cyberboy.Where stories live. Discover now