CAPITOLO 29.

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Dom, 12 novembre, pomeriggio

- C-che cosa?! -

Sbattei contro un'infermiera che mi fulminò con lo sguardo.
Franco sospirò e distolse lo sguardo dal mio viso, poi lo puntò a terra; una sgradevole sensazione di gelo mi stravolse del tutto.

- Preferirei non parlarne, rimandiamo a domani, d'accordo? -

- S-sì... -

Mi tirai la zip del giubbino fin sopra il naso, a nascondermi metà faccia.

Dom, 12 novembre, sera

Non aprii bocca per il resto della giornata, neanche quando Matteo bussò alla mia stanza con una busta nera fra le mani.

- Tieni... il tuo regalo -

Lo guardai in modo interrogativo.

- Per tutto quello che è successo... no? Per tirarti un po' su di morale -

Ruotò gli occhi e attese una risposta che non arrivò, poi girò i tacchi e si chiuse la porta alle spalle. Fissai la busta per qualche secondo, valutando le probabilità di trovarvi qualcosa che realmente potesse farmi stare meglio, subito dopo la lanciai sulla scrivania facendo cadere un portapenne.

"Niente... niente può farmi stare meglio"

Mi gettai con la testa sul cuscino a peso morto, chiusi gli occhi e cercai di non pensare più a nulla, ma era impossibile: il ricordo dello sguardo freddo e distaccato di Franco, che non si era mai rivolto a me in quel modo. Una mano cominciò a tremare impercettibilmente, la bloccai con l'altra e me le portai entrambe al viso. Avevo paura, una paura tremenda di essere abbandonato di nuovo.

"Ma Riccardo non mi lascerà mai solo, lui mi ama... "

Lun, 13 novembre, mattina

La sveglia suonò un paio di volte prima che potessi comprendere di trovarmi di nuovo nella mia stanza e non in un noioso ospedale dove avrei potuto dormire anche dodici ore di fila. Afferrai il cellulare sul comodino e guardai l'ora: le otto e trentacinque. Scrollai le spalle e mi tirai di nuovo le coperte fin sopra la testa, in ogni caso non dovevo andare a scuola. Dopo pochi minuti qualcuno bussò alla porta con insistenza, tenni le labbra serrate e mi voltai dall'altro lato.

- Alessio! Svegliati! -

In quel preciso istante ricordai il motivo per cui non dovevo andare a scuola: degli stramaledettissimi agenti che non avevano nulla da fare volevano farmi altre domande.
Presi il cuscino e feci per scagliarlo a terra, ma convinsi me stesso a stare calmo. Respirai profondamente più volte a occhi chiusi.

"Sono il primo che vuole sapere come sono andati i fatti, di certo non posso capirlo da solo. Magari questo incontro servirà a qualcosa"

Cacciai dall'armadio qualcosa al volo da indossare e raggiunsi di corsa il salotto, senza neanche preoccuparmi di andare al bagno o pettinarmi.
Due uomini con il capotto erano seduti sul divano in modo composto, entrambi con un block notes appoggiato sulle gambe allineate. Sospirai di sollievo nel constatare che non erano i due dell'ultima volta.

- B-buongiorno... -

Uno dei due alzò il capo in cenno di saluto, l'altro non si smosse di un millimetro, mi fissò soltanto gli occhi in viso.
Rosanna entrò subito nella stanza quasi correndo, con in mano un vassoio colmo di biscotti al burro.

- Gradite anche qualcosa da bere? C'è del tè verde se volete, o magari un caffè... -

Il più scorbutico zittì la donna con un movimento della mano, poi si rivolse a me.

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