Ice Dream

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PROLOGO.

“Volo sul ghiaccio come vento, veloce, leggera, forte e invincibile. Il vestito mi scivola addosso come acqua mentre faccio un triplo e mi sembra volare, ed atterro sul ghiaccio con lo stesso impatto di sempre, la gamba tesa, i muscoli vibranti di forza e di energia, i volti sfocati sugli spalti mentre ruoto e giro, giro, giro, sempre più veloce, mentre la musica è tutto intorno a me, mi pervade, fa vibrare i pattini, il ghiaccio, le gambe, le braccia, il cuore, la testa. 

C’è uno strano stridio prima debole, poi sempre più forte e io giro senza fermarmi mentre un fascio di luce mi investe e qualcosa di pesante mi travolge.

Buio, e un dolore lancinante alla gamba, schegge di ghiaccio gelido che mi penetrano nella pelle.

Urla.”

Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore.

Il telefono sta squillando.

Stropiccio gli occhi e mi accorgo di non avere più fiato in gola e ho bisogno di aria. Ansimo, il telefono ha smesso di squillare. Scivolo giù dal letto, passandomi una mano sulla fronte sudata e scostando via dal viso i capelli appiccicati. Le piastrelle fredde mi rendono più lucida e riesco a distinguere la realtà dall’incubo appena fatto.

Scanso con un saltello la valigia ancora aperta ed afferro il telefono che ha ripreso a squillare senza sosta.

«Pronto».

«Cazzo, Karol, ma si può sapere che fine hai fatto?».

«Buongiorno anche a te, Tracey» mormoro assonnata all’apparecchio freddo tra le mie mani.

La voce metallica e aggressiva di Tracey riprende senza sosta. «Buongiorno un cazzo, Karol. Tra tre ore dobbiamo partire e tu sei morta! Eravamo d’accordo che stamattina ci saremmo viste per comprare le ultime cose e tu non ti sei fatta sentire!».

Alzo gli occhi al cielo, cercando di recuperare un po’ di calma e di tranquillità. Non è proprio il caso di litigare con Tracey adesso che dobbiamo partire.

«Hai ragione. Scusa».

Tracey sospira all’altro capo e capisco che non si aspettava delle scuse.

«Sii puntuale, mi raccomando» dice, con fare ammonitorio.

Annuisco e mormoro un sì a mezza voce.

«Vuoi una mano a finire di preparare i bagagli?» chiede poi.

Sussulto e mi guardo intorno.

La camera è un disastro. Ci sono quattro valigie aperte, vestiti e scarpe sparsi ovunque, carte di credito e soldi in contanti fanno capolino dalla trousse che dovevo mettere in borsa. «Ehm… chi ti ha detto che non ho ancora finito le valigie? Certo che le ho finite!».

«Ha. Ha.» ride Tracey ironicamente. Mi conosce troppo bene per non sapere che sono in alto mare.

«Gli ultimi preparativi e… ho finito!» la rassicuro iniziando a raccattare roba alla rinfusa.

«Certo. Non voglio nemmeno immaginare l’aspetto della tua camera in questo momento. Senti, sbrigati perché partiamo anche senza di te! E ringrazia ancora papino da parte nostra!!».

Apro la bocca per ribattere ma Tracey ha già chiuso la comunicazione.

Fisso il telefono per qualche istante e poi lo rimetto a posto.

Tipico, penso prima di darmi da fare e finire sul serio le valigie.

Due ore e mezza più tardi scendo a fare colazione, trasportando i bagagli giù nel salone.

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