AHMAD (INTRO)

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Le strette vie di Samarcanda svelano sorprese e nascondono misteri anche a chi ci vive vite intere... Ogni angolo, ogni nicchia di questa città nasconde tesori che molti considererebbero leggenda. In effetti ogni mattone, ogni granello di sabbia ha la sua leggenda qui. Una leggenda che porta l'uomo indietro nel tempo, già quando ad Atene sorgeva la democrazia, quando La "Roma d'Oriente" (così veniva chiamata Samarcanda) diveniva l'anello di unione fra Occidente e Oriente, la più grande tappa della celeberrima Via della Seta.
I soldati di pattuglia che in quel momento marciavano intorno alla Grande Moschea, però, pensavano a tutt'altro che la storia della loro città: ormai erano passati quindici anni da quando le truppe naziste avevano desistito ai sovietici e si erano arresi... E ovviamente, come ogni volta che c'è da approfittarsene, gli americani se ne erano approfittati, prendendosi tutta la gloria sbarcando con appena trentamila uomini in Italia...
Ogni volta che Ahmad ci pensava, veniva tentato di riprendere le armi e scatenare una Terza Guerra... lui e i suoi commilitoni, tutti uzbeki, avevano lottato per anni sul fronte russo per dar man forte in guerra... tantissimi erano stati i caduti: l'Uzbekistan aveva perso, in proporzione, dopo la Russia stessa, più perdite fra tutti gli stati dell'Unione. L'entrata piuttosto vigliacca degli USA in guerra aveva fatto indignare ogni popolo sovietico. I soldati soprattutto faticavano a digerirla.
Ahmad di conseguenza personalmente era soddisfatto che gli attriti fossero ripartiti, anche se non tutti la pensavano allo stesso modo.
Beh, io ho dedicato la mia vita all'esercito, rifletteva il soldato. Ormai aveva venti anni di carriera, ed era stato promosso e decorato varie volte, fino a diventare colonnello. Aveva l'aspetto tipico di un veterano, con capelli brizzolati molto corti, un fisico robusto e lineamenti duri, come le rocce seminate ai bordi delle strade. La divisa gli stava a perfezione, con gli accessori estremamente curati, senza un grammo di polvere. Da tutti era visto come il modello di un militare, con il suo modo di parlare freddo e meccanico, che tradivano un carattere apatico e a volte spietato, ma simpatico quando occorreva. Di rado si adirava: semplicemente ti mandava a pulire i cessi senza battere ciglio...
Ma questo proprio gli dava sui nervi. In pochi detestavano gli americani quanto lui, e non vedeva l'ora di combatterli. Ma la Guerra sembrava lontanissima, il sogno di rivalsa pure...
Effettuato il primo giro di pattuglia intorno alla Moschea, l'unità si diresse verso la periferia, verso il quartier generale, per riferire i soliti rapporti: niente di anomalo, solo un consistente flusso di turisti (ovviamente russi).
Per adesso, limitiamoci a ste schermaglie politiche, si rammaricava l'ufficiale. In effetti, la più grande concorrenza si manifestava sul campo da hockey...
Imboccarono la via secondaria: i lineamenti della Moschea Blu si distinguevano ancora benissimo: ogni casella di ogni mosaico che ricopriva le cupole emanavano riflessi stupendi, di colore smeraldo, che nei punti più bassi tendevano al blu, come in un lago cristallino, mentre nelle entrate le pareti erano verde acqua, che facevano venire l'impressione ai visitatori di entrare in una riviera... Poche Moschee potevano competere con la bellezza di questa, eppure essa  era meno conosciuta. I migliori posti, in effetti, sono quelli intoccati dal turismo di massa...
Presero la via principale della città, che puntava a Nord e a Sud. A meridione situava la base dell'esercito, seconda in grandezza a quella della capitale, Tashkent, com'è giusto che sia, dopotutto.
Per raggiungere le caserme, bisognava percorrere questa via per circa mezz'ora a piedi. La pattuglia era composta da dieci uomini, quindi bastò il largo marciapiede per passare.
Cento metri in là situava il municipio cittadino, ornato con la bandiera della città e quella dell'URSS. Tenuto a perfezione, era uno di quei pochi edifici fatti in cemento armato e non in argilla. Quest'ultima era difatti una delle risorse più abbondanti in questa regione.
Pochi metri prima del Quartier Generale, stavano le prigioni. In futuro, nel mezzo di questa guerra politica, si sarebbero senza dubbio riempite, rifletteva la pattuglia, osservando le arrugginite celle che chiudevano ogni finestra dell'immobile. Anche questo era in cemento armato, più che altro per mostrare solidità che per prevenire evasioni "esplosive".
Dopodiché, ecco l'entrata della base: era fatta di marmo bianco, toscano, prelevato due anni dopo la fine della Seconda guerra Mondiale, come monumento in ricordo ai caduti, ma anche in onore della breve alleanza che conciliò l'Unione a Italia, Francia, Inghilterra e USA.
Il muro era in pietra, alto sei metri, e dava alla base l'aspetto di una rocca medievale.
Dopo un breve saluto militare con le guardie, l'unità entrò nell'ingresso principale. Ahmad cercò qualche anima viva, ma non ne trovò, non un ombra. Solo le guardie sembravano esserci. Ahmad si diresse verso di loro:
" Soldati!" li chiamò.
Le guardie si girarono: "Bisogno di qualcosa, amico?" chiesero amichevolmente, ma quando si accorsero di chi li avesse chiamati, si irrigidirono: "Le nostre più umili scuse, Colonnello Samirov. Avete bisogno?"
"Sì, vorrei sapere dove diavolo sono finiti gli altri."
"Sono in mensa, signore"
"Ma sono le quattro del pomeriggio! Che mangiano a fare?!"
"Sono a guardare la TV, signore. Penso che sia qualcosa di importante."
Ahmad non se lo fece ripetere due volte, e con i suoi soldati si diresse verso la mensa. Imboccarono due corridoi, fino a giungere nell'enorme sala. Eh sì, erano tutti ammassati lì, a guardare un unico schermo, poggiato su un comodino in mogano alto mezzo metro. La scritta del TG era lí, chiarissima su sfondo grigio:
"MISSILE NUCLEARE RUSSO IN ORBITA, USA MINACCIATI"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 03, 2017 ⏰

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