Prologo

346 10 0
                                    

C'era una donna seduta su una panchina di pietra bianca, in un giardino, sotto ad un grande salice; era vestita tutta di nero e aveva lo sguardo spento, rivolto verso l'orizzonte, teneva in mano una rosa rossa con un nastro nero, secca, specchio di  passata, di una giovinezza perduta.

Negli occhi verde foglia di quella donna ormai anziana brillavano due lacrime limpide come gocce di rugiada, nei loro riflessi si poteva leggere tutta la sua storia, come sulle pagine di un libro, una lunga esistenza costellata di tanti avvenimenti e di ricordi, tanti, alcuni più dolorosi e altri più felici.

Se ci si fosse fermati a guardare i suoi occhi stanchi del colore delle foglie bagnate dalla rugiada avremmo potuto intuire tutta la malinconia nascosta nel cuore di quella donna con le mani avvizzite dal tempo come i petali del fiore che carezzava con le dita e i capelli ancora lunghi ma bianchi come la neve. Ma il mio sguardo si posò più in basso, su quella bocca che era stata il sole della mia infanzia, la mia mamma sorrideva, come sempre, ma quel sorriso era diverso da quello che sfoggiava di solito, era allo stesso tempo dolce e amaro, un sorriso sereno, molto più del solito e sapevo che dietro a quella dolce nostalgia nascondeva qualcosa di grande che io non ero in grado di smascherare, ma una cosa la sapevo, dietro a quel sorriso c'era qualcosa che riguardava mio padre.

Di lui non sapevo quasi niente, sapevo solo il suo nome, Erik, e che era un grande musicista, sapevo che sapeva fare molte altre cose ma la mamma non era mai entrata nei dettagli, le avevo chiesto di lui quando ero ancora piccola, era morto poco tempo dopo la mia nascita, ma lei non me ne aveva mai parlato, diceva che faceva troppo male parlare di lui, diceva che quando si sarebbe sentita pronta mi avrebbe raccontato tutto, ma non l'ha mai fatto e vedendo il suo sorriso spegnersi ed i suoi occhi riempirsi di lacrime decisi di non chiederle più niente.

Seppi il suo nome quando avevo tre anni; una sera mi sembrò che la mamma mi chiamasse dalla sua camera così andai verso la sua porta, capii che stava piangendo perchè mentre mi avvicinavo la sentivo singhiozzare sempre più forte, appoggiai l'orecchio alla porta e la sentii gridare un nome, molto simile al mio, ma al maschile, non chiamava "Erika" ma "Erik" e capii subito, mamma Sofia piangeva solo per papà, entrai nella stanza senza fare rumore e la vidi rannicchiata sotto le coperte che piangeva e gridava come un animale ferito a morte, mi infilai con lei sotto le coperte e l'abbracciai con tutte le mie forze poi ci addormentammo insieme nel lettone.

Seppi invece che era un grande musicista quando avevo sette o otto anni, avevo iniziato a studiare pianoforte da un paio d'anni ormai e quella sera avevo un saggio importante, non ricordo che brano suonai, ricordo solo che dopo lo spettacolo la mamma venne da me piangendo, mi abbracciò e mi disse: "Hai suonato come solo tuo padre sapeva fare, sarebbe stato orgoglioso di te tesoro mio! Ti ha trasmesso tutta la sua passione,il suo talento ed il suo genio, hai fatto delle variazioni degne di lui!" e capii. Questo è tutto quello che sapevo di lui.

E mia mamma? Da dove cominciare? Mamma Sofia era una donna bella come poche, aveva i capelli lunghi e biondi, sembravano tanti fili d'oro illuminati dai raggi del sole, due grandi occhi verdi foglia e un sorriso luminoso come la luna in una notte scura. Aveva origini italiane ma i suoi genitori la abbandonarono quando era molto piccola e la lasciarono in un convento da cui scappò quando aveva sedici anni, lavorò per alcuni anni come cameriera in una città poco lontana da quella dove era nata poi venne in Francia e cominciò a cantare nei locali, a trent'anni conobbe papà, io nacqui cinque anni dopo, dopo la morte di mio padre la mamma decise di ricominciare a cantare anche se papà le aveva lasciato molti soldi, la distraeva e l'aiutava ad essere più serena quando stava con me, nel frattempo pensavo alla mia istruzione generale e musicale e mi cresceva come solo lei avrebbe potuto fare.

Era un'eroina, aveva un cuore enorme, un'anima pura e pietosa, sempre pronta ad aiutare chi ne aveva bisogno, non so quante volte abbiamo ospitato famiglie bisognose o portato cibo e vestiti ai clochard per le strade di Parigi. 

Non faticavo a capire perchè molti uomini negli anni si erano innamorati di lei, lei però non ne aveva mai voluto sapere niente, mio padre era stato il primo e sarebbe stato anche l'unico, lo amava così tanto da essere indimenticabile per lei ed ero curiosissima di sapere il perchè, ma non mi era concesso.

Io sono Erika, sono cresciuta sola con mia madre in una piccola villa in periferia di Parigi, credo di assomigliare molto più a mio padre che a mia madre, mia mamma era una donna molto solare ed espansiva, io invece sono molto più riservata, silenziosa, ma non timida, se mi arrabbio, anzi, posso essere molto cattiva. Ho i capelli dorati di mia madre e gli occhi felini ambrati di papà, fisicamente l'unica cosa che so di lui oltre ai capelli neri come la pece.

Suono molti strumenti e canto, la musica scorre nelle mie vene, il mio destino è in essa, io sono pienamente consapevole di questo e non vorrei fare altro; ho studiato musica prima a casa con mia madre e poi in conservatorio, avevo cinque anni quando ho cominciato a studiare le basi: le note, le chiavi, la lettura degli spartiti, il funzionamento degli strumenti e tutto il resto, per me era tutto molto semplice. 

A quel tempo però mi occupavo di mia madre, che negli ultimi tempi non si era sentita molto bene, con l'intenzione però di dedicarmi completamente alla mia carriera non appena si fosse sentita meglio, e a ventisei anni ero anche piuttosto in ritardo. Il mio più grande sogno era lavorare all'Opera Garnier in quel periodo, sapevo che mio padre era in qualche modo legato a quel teatro anche se ancora non sapevo quanto e volevo renderlo orgoglioso di me e sapevo che se fossi entrata nel cast lo sarebbe stato di sicuro.

L'amore vero non accetta maschereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora