Isabella Santacroce
LOVERS
1
Virginia viveva nel fondo del cuore.
Nel fondo del cuore respirava.
Una notte nella sua stanza della finestra sul cielo
guardò la sua stella migliore.
Compiva diciott’anni il giorno a venire.
Diciott’anni in quell’estate da ricordare.
Nell’aria costellazioni come fuochi sospesi.
Morbide labbra contro la luna.
Non sapeva sarebbe diventata principessa da amare
e guardava la notte cadere.
Allontanò il sonno. Profondità del tempo davanti.
Ciò che poteva. Cosa di ore.
Lei che sbocciava.
Lei come un fiore.
2
Era Giugno nell’aria. Roma sudava. Si svegliò diventando un’Alice smarrita dal sorriso confuso da un sogno alla fine.
Sua madre rideva di quel sorriso infantile. Lo faceva con grazia composta.
Era Giugno nell’aria. Si festeggiava un compleanno in famiglia. Poteva essere felice. Lo disse piano alle foglie e sembrava fragile e quasi da soffiare.
Diventava un’Alice smarrita senza nulla da inseguire se non ombre create dal sole.
Lentamente si alzò chiudendosi in bagno.
Specchiò al madonnina che era e nascose le dita per provare piacere.
Così smarrita nella passione si chiese quante preghiere valesse il rimorso di non aver atteso
che il tempo le portasse l’amore.
3
Chiusa nel bagno con un compleanno da onorare, guardò alberi dalla finestra. Se ne stavano davanti oscurando il resto e così potevi immaginarti dentro una casa circondata dal bosco.
Aveva provato ad arrampicarcisi da piccola.
Erano platano lisci come plastica e nessuna nodosa presa l’aveva aiutata a salire in po’ in alto e da lì osservare il mondo. Se era spesso domandata che effetto avrebbe fatto raggiungere la punta e fermarcisi come una stella di natale.
Come un’improvvisa luce sospesa.
Poteva essere felice.
Lo disse piano alle foglie.
Dalla finestra del bagno riusciva a toccarle.
Allungava le braccia e le toccava.
4
Suo padre in salotto canticchiava nell’odore
di pranzi da festa.
Strani rumori quasi di vita.
Sorpresa l’ascoltò esserci.
Pieno di niente.
La sua era una famiglia dalla tranquillità simile all’assenza di suono e questo da sempre l’inquietava.
Era una specie di teatro dell’anestesia dei sensi che le aveva insegnato ad annullare ogni slancio quasi fosse follia gridare di gioia.
Così Virginia cresceva nei sogni.