26 maggio

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A Mario e Claudio, spero abbiate sempre la voglia e la forza di ritrovarvi, di far vincere l'amore.
Perché voi siete l'amore, in ogni sua sfaccettatura.







E a Rebecca, perché tu sei speciale. ❣️





~





Vivere senza Claudio era un'esperienza che Mario non aveva considerato o meglio, lo aveva fatto, ma non pensava sarebbe stato così difficile, così sfiancante, così distruttivo per se stesso.
Erano trascorse tre settimane dall'ultima volta che lo aveva visto e, da quel momento, il buio.
Buio totale, fra di loro e nella vita di Mario, continuava a trascorrere le sue giornate tra il lavoro e la casa, portava a spasso Kimera per impegnare il tempo e faceva straordinari per non dover sopportare la solitudine casalinga.

Spesso si ritrovava con il telefono fra le mani, scorreva le conversazioni e notò con dispiacere che quella con Claudio andava sempre più a scendere. L'apriva spesso, lo trovava in linea, ma non aveva mai il coraggio di scrivere. Trascorreva le ore fissando quella chat silenziosa, aspettando un messaggio da parte sua, che però, ormai, non arrivava più.
E si addormentava così, con il telefono accanto al viso e il nome di Claudio che rimbombava nella sua mente.

Era il 25 maggio quando accadde.
Mario, per la prima volta dopo settimane accettò l'invito della sua migliore amica ad andare per locali, per distrarsi, per passare una serata insieme, dopo tanto tempo.
Si preparò come meglio poteva, ci provò, almeno.
Indossò una camicia azzurra con dei pantaloni neri. Aggiustò i capelli al meglio e due spruzzi di profumo per completare l'opera.
Era un sogno, come sempre. Eppure lui si vedeva sempre peggio, si guardava e non si riconosceva. L'unica cosa che riusciva a notare era la cintura stretta un po' di più attorno alla vita e la camicia che cadeva più larga lungo i fianchi, il viso più scavato e le occhiaie a farsi spazio sul suo volto.
Si guardava e non vedeva più niente di bello in se stesso.

Valentina arrivò sotto casa sua una decina di minuti dopo e lo travolse tra le sue chiacchiere e i suoi sorrisi, solo dopo averlo stretto fra le sue braccia.
Mario, d'altro canto, era di poche parole. Era lì, con lei, ad ascoltare i suoi discorsi, i suoi racconti, la sua vita e le sorrideva passivamente, ma era felice per lei, anche se non riusciva a mostrarglielo.

Arrivarono poco dopo al locale e furono travolti dalla musica, da corpi e da odore di alcool. Si lasciarono trascinare fino ad arrivare al banco e ordinarono due drink per dare il via alla serata. Ballarono insieme come non facevano da mesi, ridevano per nulla e si abbracciavano tra la folla. I drink divvenero due e poi tre. Valentina andò a salutare della amiche incontrate lì per caso, lasciando per pochi minuti Mario tra la folla.

Rimase solo, con l'alcool in circolo nel suo corpo che, insieme alla musica che rimbombava nella sua mente, rendeva i suoi pensieri per niente lucidi.
Fu in quell'attimo che ripensò al suo compleanno, a quel giorno di quasi un mese prima. Quel maledetto compleanno che trascorse chiuso in un locale, proprio come quel giorno. Ripensò a quello che sarebbe dovuto essere il suo giorno e che però divenne il suo incubo. Ripensò a quando gli offrirono da bere quasi fino a star male e - insomma - era il suo giorno, poteva permetterselo. Eppure, nonostante gli amici, nonostante l'alcool, nonostante le risate, lui trascorse quelle 24 ore in attesa degli unici auguri che avrebbe voluto ricevere. I suoi. Che però non arrivavano mai e Mario lo sapeva che non sarebbero arrivati. D'altronde non gli aveva mai detto il giorno del suo compleanno. Aveva sempre odiato festeggiarlo, aveva sempre odiato l'idea di crescere, perché per lui crescere aveva comportato prendersi delle responsabilità che un ragazzino non avrebbe dovuto prendersi, per lui crescere aveva comportato perdere la sua famiglia e, ogni anno che avanzava, la sua famiglia era sempre più distante da lui. E allora perché festeggiare? Qual era il senso di festeggiare un giorno che a lui arrecava solo sofferenza? E allora perché sentiva così la mancanza di quegli auguri?
Perché non aveva pensato ad altro tutto il giorno? Perché stava così male all'idea di non poter trascorrere quel giorno con lui?
E ripensò a quando lo aveva rivisto, pochi giorni dopo, all'ultima volta che lo aveva stretto fra le sue braccia, all'ultima volta che era stato suo. A quel giorno in cui ebbe la possibilità di dirgli tutto, di dirgli quanto gli era mancato, ma non lo fece, evidentemente non lo meritava.
E quindi ordinò un altro drink.

Senza fiatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora